Welfare agricolo: intevista a Luigi Mastrobuono, Confagricoltura

Luigi Mastrobuono, Direttore Generale di Confagricoltura dichiara: “Mettere a sistema le buone pratiche del settore agricolo”.

“La sfida di oggi è far diventare sistema le buone pratiche del settore agricolo che già esistono”. Così ha dichiarato Luigi Mastrobuono, Direttore generale di Confagricoltura, ascoltato da Welfare Index PMI.

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Luigi Mastrobuono – Direttore Generale di Confagricoltura

Direttore Mastrobuono, come spiegherebbe in estrema sintesi gli aspetti più specifici del welfare agricolo?

Il legame con l’impresa, ed il territorio, la continuità nel tempo rappresentano gli aspetti più tipici del welfare agricolo. L’agricoltura nasce all’interno di un clima in cui famiglia, relazioni, territorio si legano, l’azienda è intesa come una comunità che si allarga con un forte impatto nell’ambiente locale e queste radici sono rimaste fino ad oggi.

E ciò è un limite o una potenzialità?

Tutte e due le cose: limite quando la dimensione resta troppo piccola e non consente la capacità di progettazione verso i mercati esteri, l’innovazione, oppure il marketing o la formazione, per andare oltre il conosciuto ed i propri confini. Diventa invece un punto di forza quando permette di mantenere una forte identità imprenditoriale e produttiva che porta con sé tutto il territorio.

Quanti sono gli occupati del settore agricolo in Italia e con quale tipologia di contratti?

Gli occupati sono circa 1 milione di cui 800mila con contratti a tempo determinato. Le PMI agricole vanno calcolate per tipologia. Semplificando possiamo dire che ne esistono 75mila in forma societaria, e 650mila come imprese individuali. Se vogliamo leggere il numero di imprese con un fatturato significativo (prescindendo dalla forma giuridica), siamo complessivamente entro le 400mila. Sono diffuse su tutto il territorio nazionale. L’agricoltura non è un fenomeno “bucolico” ma pienamente economico e il settore, inteso in senso stretto, cioè produzione agricola e allevamento, vale circa il 2% del PIL (34 miliardi di euro) del nostro Paese.

La tipologia di contratti influenza l’attuazione di iniziative di welfare?

L’elevato numero di contratti a tempo determinato è dovuto alla stagionalità del lavoro agricolo (quindi lavoratori che tornano ogni anno nella stessa azienda)e, in questo senso, il welfare diventa il meccanismo con il quale fidelizzare le persone per patrimonializzare competenze ed esperienza.

Vanno pensate delle formule di welfare ad hoc?

Anche grazie alla fotografia emersa dal Rapporto 2016 Welfare Index PMI, abbiamo visto che nel settore agricolo esistono alcune formule di welfare molto specifiche, mentre altre sono uguali alle altre imprese.

Può farci qualche esempio?

Il tema della formazione ha sicuramente dato vita agli esempi più originali con l’apertura di vere e proprie scuole agrarie all’interno soprattutto di imprese medio-grandi.
Un altro esempio: Agrimad (premiata da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo, ndr), con sede in provincia di Cosenza, sostiene gli studi dei figli dei dipendenti anche in università distanti, perché i giovani laureati in modo possano tornare nelle zone di provenienza e assicurare quell’occupazione necessaria per lo sviluppo di un allevamento di assoluto valore come il suino nero di Calabria.

E tra quelli più tradizionali?

Offrire la casa ai dipendenti è una tradizione da decenni in alcune imprese, come nel caso di Barone Ricasoli (premiato da Welfare Index PMI lo scorso 8 marzo).

C’è attenzione da parte delle aziende che forniscono servizi di welfare per intercettare le esigenze specifiche del settore agricolo?

La mia impressione è che chi fornisce servizi punti, come ovvio, alle esigenze delle grandi imprese: è una legge di mercato. Poi si accorge del settore agricolo e delle sue specificità, che richiedono personalizzazione avanzata, una esigenza tipica dei nuovi mercati dei servizi.

Qual è oggi l’importanza delle reti territoriali d’impresa?

Oggi sono assolutamente indispensabili. Confagricoltura ha introdotto le reti d’impresa in agricoltura proprio per permettere alle piccole aziende di poter sviluppare ciò che da sole non riuscirebbero, come ad esempio ricerca e innovazione, formazione specializzata ma anche welfare: è più conveniente mettersi insieme per acquistare servizi come rete di imprese che non operare come piccola azienda.

Perché avete deciso di partecipare a WIPMI fin dalla prima edizione?

Fin dal primo momento, ci è sembrata un’ottima intuizione per far emergere un aspetto dell’agricoltura che non era assolutamente percepito: un agricoltura moderna, innovativa e che fa anche welfare come parte integrante del proprio processo produttivo. Siamo anche riusciti a far scoprire il mondo dell’agricoltura sociale, che ha una importante crescita. Inoltre siamo convinti dell’importanza del lavoro di divulgazione del progetto Welfare Index PMI che risponde ad un bisogno reale del Paese.