Welfare: in quali aree intendono investire le imprese per i propri dipendenti? 

Il nostro Rapporto 2018 ha fatto luce sulle Aree indicate come prioritarie nello sviluppo del welfare aziendale. La formazione dei dipendenti è l’area prioritaria sulla quale le imprese intendono investire.

Per la prima volta in questa edizione l’indagine si occupa anche delle intenzioni delle imprese in materia di welfare aziendale nell’arco dei prossimi 3-5 anni (figura 18).

Le PMI si dividono piuttosto equamente. Il 52,5% ritengono che le proprie iniziative cresceranno nei prossimi anni: il 23,5% sia nelle prestazioni erogate ai lavoratori sia nell’impegno economico, mentre il 29,0% prevedono un potenziamento delle iniziative senza rilevanti costi aggiuntivi. Un gruppo nutrito, 41,7% del totale, ritiene di confermare l’attuale offerta di welfare. Infine le imprese che ipotizzano una riduzione delle prestazioni sono una netta minoranza, il 5,8% del totale. È nuovamente la dimensione aziendale il criterio dirimente: le imprese che prevedono di accrescere i propri impegni di welfare sono decisamente più numerose nelle fasce superiori.

Alle imprese che ritengono certa o probabile una crescita del proprio welfare aziendale nei prossimi anni (52,5% del totale) abbiamo chiesto di indicare le aree prioritarie su cui intendono investire (figura 19). La prima, in modo molto netto, è la formazione per i dipendenti, indicata dal 42,2% delle PMI.

Seguono tre aree a elevata priorità: la previdenza integrativa, la sanità integrativa, la conciliazione vita e lavoro.

Figura 19

Sono aree che intervengono sui bisogni più diffusi tra tutti i lavoratori. Quattro aree sono considerate di media importanza: il sostegno economico ai dipendenti, la sicurezza, le polizze assicurative e i servizi di assistenza.

Le aree percepite come non prioritarie sono probabilmente quelle legate a bisogni emergenti o avvertiti da segmenti circoscritti, di cui le imprese appaiono ancora poco consapevoli: welfare allargato alla comunità, sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale, cultura e tempo libero, sostegno all’istruzione dei figli.

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Doppio vantaggio fiscale se il premio diventa pensione

Doppio vantaggio fiscale in caso di conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari.

Come evidenziato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 29 marzo 2018, la legge di Bilancio 2017 ha introdotto misure di particolare favore nelle ipotesi in cui il premio di risultato in denaro sia sostituito, su scelta del dipendente, con contributi da versarsi alla previdenza complementare.

Si premette che l’art. 8, commi 4 e 6, del Dlgs n. 252/2005 (“Disciplina delle forme pensionistiche complementari”) fissa una prima soglia di esenzione fiscale fino a 5.164,57 euro annui, nel senso che entro tale limite complessivo i versamenti eseguiti alla previdenza complementare non costituiscono reddito di lavoro dipendente, se effettuati dal datore di lavoro, mentre sono deducibili dal proprio reddito personale se eseguiti dal dipendente. Il valore di 5.164,57 è peraltro incrementato a euro 7.746,86, limitatamente ai primi cinque anni di contribuzione, per i lavoratori di prima occupazione dal 1.1.1996.

Ebbene, il primo vantaggio della conversione del premio di risultato con contributi alle forme pensionistiche complementari è che, in detta ipotesi, questi ultimi non concorrono al raggiungimento della soglia dei 5.164,57 euro annui. In altre parole, sono “neutri” ai fini del limite di esenzione fiscale.

In definitiva, posto che l’entità massima di premio di risultato “welfarerizzabile” è pari a 3.000,00 euro annui (che possono arrivare a 4.000,00 a certe particolari condizioni), il dipendente può arrivare a godere di una soglia di esenzione di imposta fino a 8.164,57 euro, cioè 5.164,57 + 3.000,00 (oppure 9.164,57, cioè 5.164,57 + 4.000,00).

Il secondo vantaggio, notevolissimo, è che i contributi versati “in conversione” alla previdenza complementare conservano l’esenzione fiscale anche della relativa prestazione pensionistica. Infatti la legge di Bilancio 2017, disponendo una deroga al principio generale che prevede l’imponibilità delle prestazioni pensionistiche complementari per il loro ammontare complessivo al netto dei contributi non dedotti, prevede espressamente che i contributi versati in sostituzione dei premi di risultato siano comunque dedotti dalla base imponibile pensionistica, come se “a monte” avessero costituito reddito di lavoro dipendente (se versati dal datore di lavoro) o fossero stati indeducibili dal reddito personale (se versati dal dipendente).

Analogo beneficio si applica in caso di erogazione di anticipazioni o di riscatto della quota maturata nella previdenza complementare.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Focus Rapporto 2018 – Giovani, formazione, sostegno alla mobilità sociale

Al primo posto tra le priorità indicate dalle imprese per lo sviluppo del welfare aziendale c’è la formazione ai dipendenti: di tipo specialistico o avanzato ma anche relativo a competenze non direttamente necessarie alle attuali mansioni professionali.

Se alla formazione aggiungiamo il contributo all’istruzione dei familiari, il 46,7% delle PMI indica la macro area dell’educazione come la priorità su cui investire nei prossimi anni. Nel 2018 sono già il 38% le imprese con almeno un’iniziativa in quest’area, il 5% in più rispetto al 2016, e il 10,9% di esse afferma di aver lanciato o potenziato le misure nell’ultimo anno.

Le PMI stanno quindi acquisendo consapevolezza del ruolo che esse assumono in un mercato del lavoro in cui le professioni e le competenze richieste cambiano velocemente in cui l’occupazione è frutto della capacità di sostenere con la formazione la mobilità delle risorse.

Le misure attuate dalle aziende nell’area della formazione e del sostegno alla mobilità riguardano:
• la formazione specialistica professionale;
• la formazione extra professionale;
• il sostegno all’istruzione dei figli e dei familiari.

La formazione professionale, escludendo da questo ambito quella obbligatoria, viene attuata dal 36,6% delle aziende, con una crescita di due punti percentuali all’anno (figura 60). Molto rilevante la crescita della formazione specialistica avanzata, dal 29% del 2016 all’attuale 34,6%. Il 17% delle imprese offrono anche convegni su temi specifici e giornate studio.

Cresce anche la formazione linguistica ai dipendenti, pur se diffusa solamente nel 6,5% delle aziende.

Molto limitata ma in crescita l’area della formazione extra professionale, che riguarda il 3,6% delle PMI (figura 61). Abbiamo incluso in quest’area le iniziative di formazione avanzata per i talenti come i master e business school, aumentate in due anni dall’1,1% all’1,6%.

Inoltre i corsi di cultura generale e artistica (1,1%), le borse di studio (1%), i viaggi di studio all’estero (0,6%). La relazione molto stretta che sussiste tra educazione ed occupazione giovanile è illustrata dai dati che esponiamo nelle figure 62 e 63: tra i grandi paesi europei, l’Italia ha i livelli più bassi di istruzione universitaria e inoltre, concentrando l’attenzione sulla popolazione tra 15 e 34 anni, ha una quota molto più elevata di esclusi dal lavoro e dall’istruzione: i NEET, Not in Education Employment or Training sono il 26%, contro il 10,5% della Germania, il 13% del Regno Unito, il 15,7% della Francia.

In questo contesto di gravissimo svantaggio competitivo del nostro paese le imprese hanno una duplice opportunità: quella di aiutare le famiglie nella istruzione dei figli, allo scopo di raggiungere gli standard europei di completamento del percorso di studi sino al livello universitario e post universitario, e quella di erogare ai lavoratori, e soprattutto ai giovani, la formazione necessaria a qualificarli per sostenerne la mobilità professionale.

Osserviamo quindi, con riferimento alla figura 64, il livello delle iniziative di welfare aziendale per il sostegno all’istruzione dei figli e dei familiari.

Il tasso di iniziativa delle PMI è ancora molto limitato (2,7%) ma in forte crescita: era l’1% due anni fa. La gamma delle iniziative è molto ampia: comprende il rimborso delle rette a tutti i livelli, dagli asili ai corsi post universitari; delle altre spese per l’istruzione, dai libri e gli strumenti tecnici alle mense, dai trasporti e gli alloggi ai viaggi di studio; comprende inoltre riconoscimenti al merito come borse di studio e altri premi, e inoltre servizi di orientamento formativo e professionale.

Ciò che colpisce, in un welfare aziendale che in molte aree è ancora allo stato nascente, è il posizionamento delle iniziative delle imprese sui temi cruciali per l’evoluzione del nostro paese.
In questo caso si tratta della questione decisiva per il futuro delle giovani generazioni: la capacità di sostenere la mobilità sociale attraverso l’educazione e la formazione.

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Agrimad, Formare i giovani per il futuro della comunità

“Poniamo grandissima attenzione ai giovani, con l’obiettivo di trasmettere la passione per il lavoro agricolo in modo da favorire il trasferimento delle competenze per far sentire ciascuno un elemento fondamentale della filiera.”

– Ernesto Madeo, presidente

Agrimad, nata nel 1984 come allevamento di suino calabrese allo stato brado, nel corso degli anni ha allargato la sua attività alla coltivazione degli ulivi e del peperoncino calabrese.

L’azienda ha scelto di mettere la comunità al centro dell’impresa. Questa strategia ha permesso politiche occupazionali in una zona con elevato tasso migratorio. La media è di 30-35 dipendenti con picchi che superano i 50. Fondamentale il rapporto con il territorio e con il capitale umano: la maggior parte dei lavoratori proviene dal paese di San Demetrio Corone o da zone limitrofe e l’azienda pone grandissima attenzione ai giovani, con l’obiettivo di trasmettere la passione per il lavoro agricolo e ha attivato corsi di formazione non solo per i propri collaboratori ma anche per i figli dei dipendenti, in modo da favorire il trasferimento delle competenze produttivo-agricole e raggiungendo anche l’obiettivo di far sentire ciascuno un elemento fondamentale della filiera.

In questo modo Agrimad si impegna anche a garantire la continuità di un mestiere e l’occupazione in un territorio svantaggiato, assumendo giovani del territorio, in alcuni casi entrambi i coniugi, parenti, e figli, combattendo la necessità di dover emigrare.

A partire dal 1990, l’azienda ha iniziato il lavoro di ricerca sul suino nero di Calabria nelle aree della Sila greca e Aspromonte e, dopo un lungo percorso di selezione e recupero della genetica originaria che si era estinta nel 2010, ha brevettato il processo di lavorazione della razza, diventando uno degli allevamenti di suino nero calabrese più importanti d’Italia. Infine, ogni anno vengono organizzati incontri che uniscono la condivisione di risultati e obiettivi a momenti conviviali che coinvolgono tutta l’azienda.

 

Settore: Agricoltura

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Welfare Index PMI 2018: Menzione speciale – Giovani, formazione, sostegno alla mobilità sociale

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Rating: Welfare Leader

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Aree di welfare più presidiate:

• Formazione per i dipendenti

• Sicurezza e prevenzione degli incidenti

• Sostegno economico per i dipendenti

• Sostegno all’istruzione di figli e familiari

• Welfare allargato alla comunità

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Dipendenti: da 51 a 100

Focus Rapporto 2018 – L’agricoltura sociale

Come nelle due edizioni precedenti, Welfare Index PMI dedica una sua sezione speciale alle organizzazioni dell’agricoltura sociale. L’indagine è stata svolta in collaborazione con Rete Fattorie Sociali e ha portato all’intervista di 43 realtà.

Attraverso l’impiego delle risorse agricole, i soggetti dell’agricoltura sociale operano in una vasta gamma di iniziative per favorire l’inclusione sociale e per supportare il benessere fisico, mentale e sociale delle persone, in particolare quelle svantaggiate. Le aree di intervento sono essenzialmente quattro:

l’inserimento lavorativo di persone in condizione di fragilità: sono attive in quest’area il 76,2% delle organizzazioni intervistate;

l’area educativa e ricreativa (57,1%): progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità e del territorio, gestione di fattorie sociali e didattiche;

l’area socio-assistenziale (57,1%): prestazioni e attività finalizzate allo sviluppo di abilità e all’inclusione sociale;

l’area socio-sanitaria (47,6%): prestazioni che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative con l’obiettivo di migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati.

Il 33,3% delle organizzazioni intervistate operano su tutte e quattro le aree, il 21,4% su tre e il restante 45,2% su una o due. Le attività specifiche dell’agricoltura sociale sono molteplici, come mostrato dalla figura 66: attività diurne e formazione per persone in situazione di disagio e fragilità, co-terapia, educazione ambientale, fattorie didattiche per bambini e adolescenti, centri estivi e via dicendo.

Figura 66 del Rapporto 2018

L’inclusione lavorativa riguarda una molteplicità di profili di persone svantaggiate: disabili fisici e mentali (39,5% delle organizzazioni intervistate), minori e giovani in situazione di disagio (25,6%), disoccupati di lungo corso (20,9%), ex detenuti (16,3%). Inoltre viene offerto supporto ad ex tossicodipendenti e alcoldipendenti, anziani in situazioni di fragilità, vittime di tratte e abusi. L’obiettivo dell’agricoltura sociale è contribuire, attraverso il lavoro, al benessere, alla realizzazione individuale e all’integrazione sociale di queste persone.

L’agricoltura sociale si distingue anche per l’accoglienza nei confronti degli immigrati. Il 34,9% dei partecipanti impiegano lavoratori extracomunitari, di cui spesso aiutano l’integrazione con attività di supporto: accoglienza residenziale e ricerca di alloggi; formazione linguistica, mediazione culturale, supporto e indirizzo per le pratiche burocratiche.

Le organizzazioni dell’agricoltura sociale vantano uno stretto legame con il territorio e la propria comunità locale. Il 69,0% di loro contribuiscono ad eventi ricreativi e culturali, il 54,8% offrono il proprio aiuto ad iniziative di volontariato, il 50,0% contribuiscono alle attività di centri ricreativi e culturali.

Clicca qui per leggere il Rapporto 2018 di Welfare Index PMI.