La nostra intervista a Gaetano Stella, Presidente di Confprofessioni

La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato il Presidente di Confprofessioni Gaetano Stella che sottolinea: “Nell’offerta di servizi di welfare è importante che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori: negli studi professionali il 90% della popolazione dipendente è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro”.

1) Presidente Stella, come si presenta oggi la fotografia dei liberi professionisti in Italia?
Quello dei liberi professionisti è un mondo articolato e disomogeneo all’interno di ogni singola categoria professionale, con specificità sia territoriali che generazionali. In generale, come dimostrano i dati emersi dal “Rapporto 2017 sulle libere professioni in Italia” a cura dell’Osservatorio delle Libere Professioni di Confprofessioni, con poco meno di 1 milione 400 mila unità, l’aggregato dei liberi professionisti, nel 2016, costituiva oltre il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro indipendente. In questi anni di crisi i liberi professionisti sono aumentati: l’Italia conta 17 liberi professionisti ogni mille abitanti, seconda solo ai Paesi Bassi (19 liberi professionisti per mille abitanti) ed è interessante osservare come il numero di liberi professionisti sia maggiore nelle regioni più ricche (come pure negli Stati europei con prodotto interno lordo più elevato) e che al loro interno crescono di più le professioni non tradizionali. Infine circa i due terzi dei liberi professionisti sono uomini, anche se sta crescendo il numero delle donne.

2) Quale invece la situazione degli studi professionali nel nostro Paese?
Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, gli studi professionali rappresentano un importante bacino occupazionale. Tuttavia, il settore degli studi professionali soffre ancora oggi di un certo “nanismo”: la media degli occupati non raggiunge la media di tre lavoratori, anche perché finora ci sono state poche politiche governative mirate a favorire le aggregazioni tra professionisti che sarebbero, invece, utilissime per consentire una migliore organizzazione del lavoro all’interno dello studio e quindi una maggior competitività sul mercato.

3) Quali sono dal suo punto di vista le sfide che deve affrontare il suo settore nel prossimo futuro?
Per poter competere in un mercato sempre più globalizzato è necessario appunto stimolare le aggregazioni anche multidisciplinari tra liberi professionisti. La presenza di una pluralità di professionalità diverse all’interno di un singolo studio aumenterebbe naturalmente i servizi offerti, semplificando la vita delle imprese che avrebbero così un riferimento unico, per esempio, nella gestione degli adempimenti amministrativi, fiscali, legali o tecnici. Un hub di professionalità trasversali in grado di risolvere più questioni e intercettare nuove esigenze; pensiamo per esempio a figure nuove come “l’esperto del welfare” in grado di offrire una consulenza a 360 gradi, che potrebbe rappresentare una nuova professionalità molto richiesta nel prossimo futuro per dare alle imprese soluzioni di welfare su misura.

4) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel settore degli studi e servizi professionali?
Nel 2017 le iniziative di welfare contrattuale rivolte ai liberi professionisti, come ad esempio le sempre più numerose fattispecie di welfare offerte dalle casse previdenziali dei liberi professionisti o i servizi collettivi offerti dalla Cadiprof (la Cassa di assistenza sanitaria integrativa degli studi professionali) hanno registrato un notevole successo.
Tuttavia il welfare, quello di cui all’articolo 51 del TUIR, che consente ai datori di lavoro la detassazione dei servizi offerti ai propri dipendenti, è più agevole per le aziende dei settori produttivo o commerciale in quanto è più facile determinare l’indice di produttività, contrariamente a quello che si verifica in uno studio professionale. Per questo l’approccio al welfare da parte degli studi di più ridotte dimensioni è più limitato.

5) Quindi è più facile per i grandi studi offrire servizi di welfare?
Gli studi più strutturati possono individuare più facilmente meccanismi di calcolo per determinare l’indice della produttività e quindi offrire servizi di welfare ai propri lavoratori. Altrettanto importante è che siano intercettati i bisogni reali dei propri collaboratori; ricordiamo che il 90% della popolazione dipendente degli studi è costituito da donne con età inferiore ai 40 anni, e quindi l’offerta è mirata soprattutto alla soddisfazione della conciliazione dei tempi vita-lavoro, dello smart-working, al sostegno al reddito, a iniziative a supporto della maternità come la cura dei figli. Per i lavoratori giovani le iniziative legate alla prevenzione sono, in generale, molto apprezzate.

6) Qual è secondo lei l’utilità di iniziative come Welfare Index PMI?
Mettere insieme le eccellenze per migliorare il welfare e dare una spinta positiva per la sua diffusione è uno dei motivi principali per il quale abbiamo aderito. Siamo convinti che se aumenta il livello di soddisfazione del dipendente per il lavoro che svolge, aumenta di conseguenza anche la qualità stessa del lavoro. L’iniziativa promossa da Generali ha il grande merito di essere riuscita a creare un sistema che mette al centro la responsabilità sociale di un’impresa e, nello stesso tempo, dà vita ad un laboratorio di idee e di innovazione che premia il benessere delle persone.

Welfare aziendale e crescita dell’impresa: una relazione positiva

Si sa bene come un clima di collaborazione e rispetto sia di forte impatto per i lavoratori: il welfare contribuisce a far sì che essi si sentano parte di una famiglia e che siano tenuti a contribuire al progredire della stessa. L’azienda non come padre padrone, ma come dispensatore di benessere in un clima di condivisione, dove il rapporto non è più verticale ma orizzontale.

Ma il welfare aziendale fa davvero crescere l’impresa? Una domanda la cui risposta, fino a qualche tempo fa, appariva estremamente incerta, data l’assenza di chiare evidenze circa l’effettivo contributo delle iniziative di welfare al miglioramento qualitativo e quantitativo delle performance aziendali. Oggigiorno, tale panorama è cambiato ed è possibile affermare indubbiamente che esiste una relazione positiva tra l’utilizzo degli strumenti di welfare aziendale e la crescita dell’impresa che li ha attivati. Questo grazie soprattutto ai dati emersi dal Rapporto Welfare Index PMI, ormai divenuto una fonte autorevole di informazioni per valutare lo stato del welfare nelle piccole e medie imprese italiane. L’edizione 2017 ha mostrato infatti i seguenti risultati positivi tra le imprese che hanno attuato iniziative in almeno 6 delle aree di welfare aziendale individuate nel rapporto:

  • Aumento della soddisfazione dei lavoratori e miglioramento del clima aziendale (71% delle imprese);
  • Maggiore fidelizzazione dei lavoratori (69% delle imprese);
  • Miglioramento dell’immagine aziendale (69% delle imprese);
  • Incremento della produttività nel lavoro (56% delle imprese).

Fare welfare è dunque divenuto uno strumento strategico per garantire un aumento della produttività dei lavoratori, un investimento fondamentale per ottenere migliori risultati sia in termini quantitativi che qualitativi. Difatti, il welfare obbliga le imprese a porsi domande sulle risorse umane, ascoltando i bisogni dei dipendenti e chiedendosi se esistono dei modi per aumentare la loro motivazione, il loro engagement, il loro benessere, incidendo positivamente anche sui loro rendimenti in azienda. Ma, oltre a garantire una riduzione del turnover, un clima aziendale maggiormente incline a tenere in considerazione le esigenze dei lavoratori favorisce anche l’attrazione dei migliori talenti, allettati dai diversi benefit erogati per facilitare la conciliazione tra vita privata e lavoro e garantire un futuro migliore per se stessi e per i loro familiari. Nuovi talenti, nuove idee. Il passo è breve per assicurare all’impresa una maggiore e migliore produttività, per ottenere un valore aggiunto tanto da un punto di vista meramente quantitativo quanto in termini di contenuti e nuove proposte.

Esempi come Luxottica fanno scuola. Grazie alla possibilità offerta ai propri dipendenti di ricevere il premio aziendale in denaro o di trasformarlo, in tutto o in parte in beni e servizi di welfare, l’azienda veneta ha affermato la propria volontà di porre al centro della propria organizzazione “il valore delle persone, la loro individualità, il legame emozionale con l’azienda e il senso di comunità e appartenenza”. E mentre il tasso di assenteismo è sceso, il grado di soddisfazione dei lavoratori registra una continua crescita.

Iniziative simili di welfare sono alla portata di tutti, PMI comprese. Una speranza in più, ad esempio, per le lavoratrici, che vedono, nella prospettiva di una crescita professionale, riconosciuta la loro esigenza di asili nido.

Prof. Marco Meneguzzo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

La nostra intervista a Francesco Postorino, Direttore generale di Confagricoltura

La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato il Direttore generale di Confagricoltura Francesco Postorino che ha dichiarato: “Oggi l’ostacolo principale per lo sviluppo del welfare aziendale è rappresentato dall’assenza di servizi locali che possano supplire alle carenze di organizzazioni e imprese molto piccole nella gestione dei piani e dei servizi di welfare”.

1) Quante sono le PMI nel settore Agricoltura? Sono equamente distribuite su tutto il territorio o concentrate in alcune aree del Paese? Come si presenta, insomma, la fotografia dell’agricoltura all’inizio del 2018?

Complessivamente le PMI agricole sono 750mila distribuite su tutto il territorio italiano, ci sono differenze nelle dimensioni, con una media di circa 12 ettari, che piano piano si sta alzando, anche se siamo ancora lontani dalla media europea che si aggira intorno a 36 ettari. Il cosiddetto nanismo è una caratteristica strutturale del Paese, dovuto alla genesi ed alla evoluzione delle aziende stesse. Da segnalare anche la presenza di molte nicchie di produzione con alto valore aggiunto.

2) Quali sono le caratteristiche del vostro settore?

In particolare le piccole dimensioni delle imprese e la maggioranza di lavoratori a tempo determinato, caratteristica legata alla stagionalità del lavoro agricolo, condizionano molto il welfare. In generale inoltre, le strutture produttive agricole sono a carattere familiare e il welfare spesso è lasciato all’iniziativa personale del datore di lavoro. L’agricoltura ha una tradizione di welfare legata alle vecchie organizzazioni del lavoro, le cascine e le fattorie, che raccoglievano molto famiglie e avevano una propria organizzazione sociale.

3) Quali invece i bisogni emergenti?

Oggi la popolazione che abita in campagna si è molto ridotta e tra le esigenze più diffuse ad esempio: raggiungere il posto di lavoro o svolgere pratiche burocratiche visto che molti dei lavoratori del settore agricolo sono stranieri. Nelle imprese più strutturate si stanno organizzando servizi di welfare che vanno dall’asilo nido, alla cultura fino al tempo libero.

4) Quali sono state le novità dell’ultimo anno in materia di welfare aziendale per le PMI agricole?

Si è trattato soprattutto di novità che hanno legato il welfare a benefici fiscali e sarebbe importante per un ulteriore sviluppo del welfare la realizzazione di ulteriori normative che incentivino l’attivazione di servizi a supporto dei lavoratori, al di là dell’area fiscale. Ad esempio, potrebbe essere molto utile per il settore dell’agricoltura, data l’elevata presenza di lavoratori immigrati, che l’assistenza per le pratiche burocratiche fosse gestita assieme alle strutture pubbliche, onde evitare che tutti gli oneri ricadano sulle imprese agricole. Bisogna insomma coniugare il supporto fiscale con le iniziative degli enti locali, dialogo che fino ad ora è mancato.

5) Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel nostro Paese e nel vostro settore in particolare?

Oggi l’ostacolo principale è rappresentato dall’assenza di servizi locali che possano supplire alle carenze di organizzazioni e imprese molto piccole nella gestione dei piani e dei servizi di welfare.

6) Quali sono secondo lei i vantaggi concreti per un’impresa che abbia attivato un piano di welfare? Può citare qualche esempio concreto di Buone pratiche?

Le imprese che hanno messo in moto servizi di welfare ci raccontano che il clima aziendale migliora e ne deriva una maggiore e migliore produttività, con una partecipazione del lavoratore alla “vita” dell’azienda. Tra i buoni esempi è recentissima la notizia di un’importante azienda agricola che ha scelto di coinvolgere tutti i suoi dipendenti in un’assicurazione sanitaria, che al di là della dimensione aziendale indica come si stia sviluppando una sensibilità rilevante sul tema del welfare.

7) In che modo sostenete lo sviluppo del welfare nelle piccole e media imprese?

Confagricoltura cerca innanzitutto di estendere il welfare ad un numero sempre maggiore di PMI e per farlo siamo impegnati a conoscere e capire le esigenze specifiche delle imprese sul territorio, toccando con mano i loro bisogni. Il supporto al tema del welfare ci ha portato a rinsaldare le relazioni territoriali che altrimenti si sarebbe rischiato di perdere, rimettendo al centro la dimensione umana.

8) Qual è secondo lei l’utilità dell’iniziativa Welfare Index PMI a cui partecipate fin dalla prima edizione?

Partecipiamo con convinzione all’iniziativa Welfare Index PMI fin dalla prima edizione che ha la caratteristica fondamentale di ampliare il tasso di sensibilità su un tema delicato e importante come il welfare aziendale. Inoltre, ogni anno il Rapporto ci restituisce la fotografia dello sviluppo reale del welfare nel nostro Paese con una visione intersettoriale che include tutti i principali settori produttivi e dai dati che emergono registriamo che c’è ancora tanto lavoro da fare per diffondere la conoscenza degli strumenti e delle opportunità legate al welfare.

Perché fare welfare è diventato più semplice

Troppo spesso le imprese, soprattutto quelle piccole, rinunciano ad attuare politiche di welfare aziendale solamente perché non sanno come farlo. Forse molti imprenditori non sanno che attivare un piano di welfare non richiede degli enormi sforzi.

Il primo passo da seguire, ovviamente, è capire i bisogni dei dipendenti in una o più aree di welfare (per una identificazione puntuale delle stesse, si veda il Rapporto Welfare Index PMI 2017). Un imprenditore che intenda offrire ai propri lavoratori un pacchetto di beni e servizi integrativi della remunerazione in denaro dovrà, infatti, analizzare attentamente le esigenze in materia di welfare dei propri dipendenti, al fine di predisporre un piano che possa generare un beneficio concreto in termini di miglioramenti del benessere della popolazione aziendale, che possa riflettersi positivamente sulla produttività e sui risultati economici dell’azienda.

Una volta compresi i fabbisogni dei propri dipendenti, l’impresa che voglia attivare un programma di welfare dovrà decidere che tipologia di piano lanciare. Da un punto di vista strettamente procedurale, l’opzione più semplice risulta essere il piano volontario o unilaterale. Questo può essere promosso in maniera occasionale oppure erogato in virtù di un regolamento aziendale che impegni il datore di lavoro nei confronti dei dipendenti. La predisposizione di un regolamento aziendale contenente il piano di welfare è comunque condizione necessaria per ottenere la non imponibilità e la deducibilità dei valori corrisposti. In quelle realtà dove esista un sistema strutturato di relazioni e rappresentanze sindacali, questa strada risulta più difficilmente percorribile, essendo auspicabile un accordo sindacale tra le parti coinvolte. Il piano di welfare che ne deriva è detto negoziale o sindacale ed è obbligatorio predisporlo in tutti quei casi in cui il welfare aziendale sia abbinato ad un premio di risultato o di produttività.

Lo step successivo è erogare in concreto i benefit previsti. Qualunque sia la tipologia di piano di welfare prescelta, la soluzione più semplice è avvalersi di strumenti che favoriscano l’accesso alle misure in questione. Sono sempre di più le piattaforme digitali che svolgono la funzione di sviluppare e gestire le stesse, oltre ad offrire una serie di altri servizi, dalla verifica delle prestazioni in regime di esenzione alla gestione dei plafond individuali di spesa.

Ovviamente, dopo le fasi elencate, l’imprenditore dovrà comunicare ai propri dipendenti l’avvio del piano, secondo le modalità che ritiene più opportune. E a volte basta una semplice e-mail.

Infine, per semplificare tutto il processo appena delineato, l’impresa che intenda lanciare un piano di welfare potrebbe decidere di fare rete con altre imprese del proprio territorio. Questa soluzione, oltre a garantire interdipendenze di tipo tecnico, organizzativo ed economico, rende più agevole la realizzazione di iniziative di welfare aziendale. Quanto detto è confermato dai dati del Rapporto Welfare Index PMI 2017, che evidenziano come nessun fattore di successo sia tanto discriminante quanto quello dello sviluppare forme di networking nel welfare aziendale: infatti, “il 22% delle imprese molto attive nel welfare aziendale hanno potuto attuare le proprie iniziative grazie a diverse forme di alleanze”; tra le aziende meno attive, tale percentuale crolla al 3%. Più semplice di così…

Prof. Marco Meneguzzo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Perché fare welfare conviene alle aziende (e non solo)? Lo spiega il professor Marco Meneguzzo

Da qualche anno si sente sempre più spesso parlare di welfare aziendale, anche in virtù della continua attenzione del legislatore alla regolazione e incentivazione delle iniziative rientranti in questo ambito. Se le Leggi di Stabilità 2016 e 2017 avevano aperto la strada al welfare aziendale, prevedendo una serie di agevolazioni fiscali per imprese e dipendenti che usufruissero di beni e servizi di welfare come strumenti a sostegno della retribuzione, con la Manovra 2018 viene ampliato il ventaglio delle soluzioni a tale scopo. In particolare, la Legge di Bilancio 2018 ha modificato il comma 2 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, prevedendo l’esclusione dal reddito di lavoro anche di quelle “somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti dal datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari”. Dunque, da quest’anno, anche gli abbonamenti per viaggiare su mezzi pubblici come bus, tram, metro e treni rientrano tra i benefit potenzialmente attivabili dalle imprese in un’ottica di welfare aziendale, sommandosi alle altre iniziative già intraprese e che il Rapporto Welfare Index PMI 2017 ha sinteticamente raggruppato in 12 aree principali:

  • previdenza integrativa;
  • sanità integrativa;
  • servizi di assistenza;
  • polizze assicurative per il personale;
  • conciliazione vita-lavoro, sostegno ai genitori, pari opportunità;
  • sostegno economico;
  • formazione per i dipendenti;
  • sostegno all’istruzione di figli e familiari;
  • cultura, ricreazione e tempo libero;
  • sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale;
  • sicurezza e prevenzione degli incidenti;
  • welfare allargato al territorio e alla comunità.

Ma chi beneficia delle iniziative di welfare aziendale? Sicuramente i dipendenti, che percepiscono un maggiore guadagno grazie all’erogazione di benefit che non sono tassati in busta paga e che contribuiscono a facilitare la conciliazione tra vita privata e lavoro e ad aumentare il loro benessere. Dal canto loro, le aziende, grazie alle strategie di welfare, oltre alla possibilità di ottenere vantaggi fiscali, possono instaurare un rapporto di maggiore reciprocità con i propri lavoratori, in grado di determinare una serie di altri benefici, tra cui:

  • miglioramento del clima e del benessere organizzativo;
  • incremento della reputazione aziendale;
  • aumento del senso di appartenenza e di fidelizzazione dei propri dipendenti;
  • maggiore capacità di attrazione di nuovi talenti;
  • riduzione del turnover.

Tutti fattori in grado di aumentare la produttività dei lavoratori e, dunque, la profittabilità dell’impresa. Ovviamente, l’impatto sui risultati aziendali delle iniziative di welfare aziendale è difficilmente misurabile e quantificabile nell’immediato. Tuttavia, come indicato nel Rapporto Welfare Index PMI 2017, alcune piccole e medie imprese hanno segnalato di aver già registrato netti miglioramenti, in particolar modo per quanto concerne la gestione del personale:

  • nella soddisfazione dei lavoratori e nel clima aziendale (9,5% delle imprese del campione);
  • nella fidelizzazione dei lavoratori (9,4%);
  • nella riduzione dell’assenteismo (4,1%).

Impatti positivi sull’immagine dell’azienda sono stati segnalati dal 7,4% delle imprese, mentre il 3% ha dichiarato di aver ottenuto un incremento della produttività. Questi risultati sono destinati a salire nei prossimi anni: una quota di imprese tra il 25% e il 30% hanno infatti dichiarato di aver ricevuto segnali incoraggianti dalle iniziative di welfare attivate, ma si aspettano che miglioramenti maggiormente significativi avvengano a lungo termine.

Ma a godere dei benefici del welfare aziendale non sono soltanto imprese e lavoratori, ma anche il sistema Paese nel suo complesso. Infatti, oltre a rafforzare il legame tra le imprese e i propri territori e a garantire l’offerta di beni e servizi legati a bisogni non adeguatamente coperti dal welfare pubblico, il welfare aziendale è in grado di accrescere la coesione sociale del Paese e a stimolarne lo sviluppo socio-economico. Basti pensare alle potenzialità di crescita per tutti quegli operatori individuali e per tutte quelle aziende, pubbliche e private, profit e non profit, che forniscono servizi negli ambiti del welfare aziendale.

È ancora presto per fare delle stime. Possiamo però essere certi che il welfare aziendale conviene. E fa bene alla nostra economia e alla nostra società.

Prof. Marco Meneguzzo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

La nostra intervista a Carlo Robiglio, presidente della Piccola Industria di Confindustria

La redazione di Welfare Index PMI ha intervistato Carlo Robiglio presidente della Piccola Industria di Confindustria che sottolinea: “Il welfare aziendale migliora la produttività, il clima aziendale e la coesione, senza dimenticare che ha una ricaduta fiscale positiva per l’impresa stessa”.

Carlo Robiglio - Presidente Piccola industria Confindustria

Come si presenta la fotografia della Piccola Industria all’inizio del 2018?
Nel nostro Paese le piccole e medie imprese sono protagoniste assolute del tessuto produttivo: almeno il 99% delle imprese attive sono PMI e occupano il 78% della forza lavoro. Il dato sull’occupazione rimane costante nei diversi territori ad eccezione del Sud e delle Isole dove supera il 90%.
Se guardiamo a Confindustria, poi, le PMI rappresentano il 97,3% delle oltre 150mila associate e quasi il 57% dei dipendenti delle nostre imprese sono impiegati in PMI. Questi numeri dimostrano come le piccole e medie imprese siano un’espressione diretta delle comunità in cui sono inserite e delle eccellenze diffuse in tutta Italia.

Presidente Robiglio, quali sono le esigenze specifiche di queste protagoniste del tessuto produttivo italiano?
Siamo convinti che il bisogno principale per le nostre imprese sia compiere un grande cambiamento culturale. Una crescita sostenibile e non episodica delle imprese passa anche dalla consapevolezza del loro profondo ruolo sociale, come attori fondamentali per lo sviluppo del territorio e delle comunità in cui sono inserite. C’è infatti un grande bisogno di cultura d’impresa e non mi riferisco solo alla formazione ma soprattutto ad un cambio di mentalità, una disponibilità ad aprirsi al confronto, all’innovazione e all’internazionalizzazione. In questo contesto il welfare aziendale svolge un ruolo importante perché allo stesso tempo migliora la produttività e facilita le relazioni fra datori di lavoro, collaboratori e dipendenti.

Secondo lei la gestione del welfare aziendale può essere, quindi, propedeutica a una modernizzazione dell’azienda? Porre certe questioni può contribuire al cambio di mentalità?
Assolutamente sì, anche perché ritengo che mai come oggi, grazie anche a temi come il welfare, si torni a mettere la persona e i suoi bisogni al centro, in un’ottica di responsabilità sociale, che è uno dei grandi pilastri dello sviluppo che Piccola Industria vuole dare alla cultura d’impresa. Mi riferisco in particolare al concetto di sostenibilità ed economia circolare che vede l’imprenditore restituire al territorio quanto ha ricevuto. Questo è fondamentale per consolidare il legame tra le imprese e le loro radici, legame che costituisce la forza e la peculiarità delle aziende italiane.

Cosa significa fare welfare aziendale e cosa è cambiato rispetto al passato?
Gli imprenditori italiani sono da sempre molto sensibili al tema del welfare perché, nella maggior parte dei casi, sono i primi lavoratori delle proprie aziende, il loro rapporto con i collaboratori è molto stretto e ne conoscono bene le esigenze specifiche. In passato, però tutto era lasciato alla semplice relazione personale. Fare welfare, invece, vuol dire strutturare queste relazioni, mettendo ufficialmente al centro la persona e i suoi bisogni, migliorando al contempo le relazioni industriali e tracciando un vero percorso sul quale muoversi.

In che modo il welfare è un elemento competitivo e di crescita per una PMI?
Migliora la produttività, il clima aziendale e la coesione, senza dimenticare che ha una ricaduta fiscale positiva per l’azienda stessa. Anche grazie ai benefici fiscali, il tema del welfare sta diventando argomento diffuso e conosciuto tra tutte le piccole e medie imprese.

Quali sono secondo lei gli ostacoli maggiori che frenano lo sviluppo del welfare nel nostro Paese e nella Piccola Industria in particolare?
Si tratta innanzitutto di difficoltà di ordine pratico, soprattutto per le micro e piccole imprese, che devono dedicare risorse alla gestione amministrativa dei piani di welfare per gli adempimenti fiscali e contributivi. Inoltre, molti dei nostri associati non raggiungono la dimensione minima per accedere a tariffe agevolate per l’acquisto di servizi di welfare. Per questo, uno dei temi che sta affrontando Confindustria è da un lato l’attivazione di convenzioni con fornitori di welfare locali, dall’altro il servizio di consulenza all’interno delle nostre associazioni per strutturare dei piani di welfare a misura di PMI e la realizzazione di contratti di rete, che permettono di aggregare le piccole e medie imprese consentendo loro di usufruire di servizi di welfare al miglior costo.

Ci può fare qualche esempio di reti d’impresa attivate per ottenere benefici e servizi di welfare a prezzi competitivi?
Sicuramente la Rete Giunca, la prima rete d’impresa in Italia nata per proporre nuove iniziative di welfare a vantaggio dei dipendenti, costituita da 10 imprese della provincia di Varese, operanti in vari settori manifatturieri, e che coinvolge circa 1700 dipendenti. C’è poi la Rete #Welfare Trentino, costituita da 12 imprese della provincia di Trento con un bacino di oltre 3mila dipendenti, prevalentemente PMI. Sempre in quell’area abbiamo anche #WelfareSudTirol che aggrega 20 imprese per un totale di oltre 4mila dipendenti. Anche al Sud ci sono degli esempi virtuosi come la Rete Poema nata nella provincia di Avellino per obiettivi di innovazione tecnologica tra 15 imprese del settore aerospaziale, 7 delle quali nel 2016 hanno deciso di condividere, a beneficio dei loro 1000 dipendenti, anche servizi di welfare.

Quali sono i vantaggi concreti per un’impresa che aderisce ad una rete?
Questo tipo di aggregazioni permette di rafforzare il potere contrattuale rispetto agli operatori specializzati nella gestione di servizi di welfare, riducendo allo stesso tempo i costi di implementazione e gestione dei piani. Mettendo insieme i bisogni dei dipendenti si riescono a trovare soluzioni condivise e vantaggiose, in termini di numeri, anche per i fornitori di servizi.

In che modo sostenete lo sviluppo del welfare nelle piccole e medie imprese?
Andando sui territori per raccontare ai colleghi le best practice, le storie di altri imprenditori che già hanno attivato iniziative di welfare, ottenendo benefici e vantaggi. In generale, veniamo da un’epoca di crisi, caratterizzata da un certo scetticismo e la novità desta diffidenza. Ben venga quindi la narrazione da parte di imprese e imprenditori che hanno già avviato questi percorsi. D’altra parte le realtà associative territoriali devono favorire pratiche amministrative e di gestione – organizzando sportelli e offrendo consulenza a 360 gradi all’imprenditore che vuole attivare programmi di welfare – e incentivare le imprese a fare rete. Ciò anche con il supporto di RetImpresa, l’Agenzia confederale per le reti, che da qualche anno sta lavorando con le Associazioni per diffondere la cultura del welfare in rete tra le PMI, assisterle nella realizzazione dei contratti di rete e sensibilizzare le Istituzioni a premiare le migliori esperienze e i modelli virtuosi di aggregazione per il welfare.

Qual è secondo lei l’utilità dell’iniziativa Welfare Index PMI a cui partecipate fin dalla prima edizione?
Il Welfare Index, con il suo combinato di informazioni tecniche e best practice, permette un avvicinamento consapevole delle piccole e medie imprese al welfare aziendale e può contribuire e sostenere il cambio culturale necessario alle PMI per affrontare le nuove sfide come la crescita e l’internazionalizzazione.

Rapporto 2018: presentazione il 10 aprile al Salone Delle Fontane a Roma

Welfare Index PMI presenta il Rapporto 2018, l’indagine più completa sul welfare in Italia.

Le 10mila interviste, in tre anni, alle Pmi dei 6 settori produttivi fotografano un trend di crescita delle imprese attive nel welfare.

200 imprese al top con Rating 5 W e 4 W per ampiezza e rilevanza delle azioni.

• 10 aprile 2018: Presentazione al Salone Delle Fontane a Roma del terzo Rapporto annuale e premiazione dei migliori progetti di welfare

• 4.014 imprese (+20% rispetto 2017), hanno aderito alla terza edizione del Rapporto sul welfare aziendale in Italia e riceveranno il Rating Welfare Index PMI. Con valutazioni da 1W a 5W, il rating misura l’azione delle piccole e medie imprese italiane nel welfare

Marco Sesana, Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia:
“Da tre anni mettiamo in campo le nostre competenze di assicuratore, assieme alle principali confederezioni nazionali, per promuovere attraverso il welfare aziendale la crescita delle imprese, dei lavoratori e delle loro famiglie. Con Welfare Index Pmi, poniamo l’attenzione sui grandi bisogni sociali: sanità e assitenza, conciliazione e sostegno al lavoro, giovani, formazione e istruzione. Temi di grande impatto sociale sui quali siamo fortemente impegnati”.

Roma. Diffondere la cultura del welfare aziendale per incentivare tra le piccole e medie imprese l’utilizzo di buone pratiche di welfare: è l’obiettivo di Welfare Index PMI, l’iniziativa – giunta alla terza edizione – promossa da Generali Italia, con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane: Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni.

Dopo tre anni, il successo dell’iniziativa cresce ancora, come dimostra il coinvolgimento nell’indagine di oltre 4.000 aziende nel 2018, il 20% in più rispetto allo scorso anno. Con 10mila imprese intervistate nelle tre edizioni, la ricerca condotta da Innovation Team, rappresenta la mappatura più completa della diffusione del welfare aziendale in Italia, confermandosi anche come fonte autorevole per istituzioni, organizzazioni e privati che vogliono approfondire la materia. In questi anni Welfare Index PMI ha anche offerto alle imprese un servizio gratuito per misurare il loro livello di welfare attraverso la piattaforma www.welfareindexpmi.it, dove gli imprenditori possono anche accedere alle novità fiscali e regolamentari sul welfare aziendale.

Alle 4.014 imprese coinvolte quest’anno è assegnato il Rating Welfare Index PMI, che raggruppa le aziende in 5 classi con un valore crescente da 1W a 5 W. Lo scopo è di permettere alle imprese di conoscere il proprio livello di welfare e comunicarlo in modo immediatamente riconoscibile, facendo diventare l’impegno nel welfare un vantaggio competitivo.

Le 38 aziende che quest’anno hanno ottenuto le 5W (rispetto alle 22 del 2017) sono storie d’eccellenza, che si contraddistinguono per aver attuato un ampio ventaglio di iniziative per il benessere dei lavoratori e delle loro famiglie, spesso attraverso soluzioni originali e innovative.

Carlo Robiglio, Presidente della Piccola Industria di Confindustria: “Una crescita sostenibile e non episodica delle imprese passa anche dalla consapevolezza del loro profondo ruolo sociale, come attori fondamentali per lo sviluppo del territorio e delle comunità in cui sono inserite. È quindi necessario promuovere sempre di più iniziative e progetti, come il Welfare Index PMI, in grado di consolidare e rafforzare la cultura di impresa, consapevoli della centralità della persona nel processo economico e produttivo. Il welfare aziendale, infatti, consente non solo di migliorare la produttività delle aziende e rafforzare il rapporto con i collaboratori, ma soprattutto di creare le condizioni per una serena e piena espressione della persona nel suo lavoro. L’esperienza del Welfare Index PMI, attraverso il suo combinato di informazioni tecniche e best practices, permette un avvicinamento consapevole delle piccole e medie imprese al welfare aziendale”.

Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura: “L’agricoltura, grazie al suo profondo legame con il territorio e la popolazione, è pioniera del welfare e conferma oggi il suo rinnovato ruolo sociale, finalizzato all’integrazione e al miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Oggi la direzione intrapresa dalle aziende va verso un ampio concetto di sostenibilità, non solo sociale, ma anche economica e ambientale. Gli esempi concreti sono migliaia, da Nord a Sud. Come Confagricoltura guardiamo con attenzione allo sviluppo di queste realtà, valorizzandone esperienze e potenzialità. E non è un caso che oggi esista una realtà consolidata fatta da imprese agricole impegnate nell’Agricoltura Sociale. Per questo partecipiamo con convinzione al Welfare Index Pmi che consente di trarre utili nuove idee ed elementi di progettualità guardado a quanto fatto in altri settori.”

Cesare Fumagalli, Segretario Generale di Confartigianato Imprese: “Siamo convinti che il welfare faccia bene all’azienda, ai lavoratori e alle comunità locali. Gli obiettivi che ispirano Welfare Index Pmi sono gli stessi che hanno spinto Confartigianato a realizzare, nel 2017, il progetto Nuovo Welfare. Puntiamo a colmare il gap nell’offerta pubblica di servizi e a far diventare il welfare un’opportunità per il Paese, motore di crescita sociale e sviluppo economico. A maggior ragione nell’artigianato e nelle piccole imprese dove imprenditori e dipendenti lavorano fianco a fianco, in un rapporto di stretta collaborazione. Per questo l’artigianato è stato il primo settore, 30 anni fa, ad occuparsi del benessere dei propri collaboratori attraverso un welfare fondato sulla bilateralità, espressione di una cultura condivisa tra le parti sociali per la gestione delle relazioni sindacali, del sostegno al reddito, della formazione, del mercato del lavoro, del welfare integrativo all’insegna della sussidiarietà,del mutualismo, del protagonismo delle parti sociali”.

Gaetano Stella, Presidente di Confprofessioni: “La convinta partecipazione di Confprofessioni alla terza edizione del Welfare Index Pmi testimonia la profonda attenzione dei liberi professionisti alle politiche attive del lavoro e agli innovativi strumenti di welfare messi in campo dal Ccnl degli studi professionali. Nel comparto professionale, il welfare è una realtà consolidata che affonda le proprie radici nel lontano 2001, quando vennero introdotte nel contratto collettivo le prime misure di welfare a favore dei dipendenti. In questi 17 anni abbiamo assistito ad uno sviluppo continuo e costante sia sul fronte delle nuove tutele, sia delle prestazioni erogate, che più recentemente sono state estese anche ai datori di lavori. Al di là dei numeri, è cresciuta la cultura del welfare, che oggi rappresenta un fattore di sviluppo indispensabile nell’organizzazione di uno studio e nel processo di trasformazione del lavoro”.

Evento Welfare Index PMI 2018

Le novità del welfare in Italia verranno illustrate nel “Rapporto Welfare Index Pmi 2018”, che verrà presentato il prossimo 10 aprile a Roma presso il Salone Delle Fontane, situato al centro dell’Eur. Durante l’evento di presentazione – patrocinato dalla Presidenza del Consiglio – saranno premiate le prime tre classificate per ogni settore e attribuite 4 menzioni speciali alle migliori piccole e medie imprese in diversi ambiti.

I partner dell’iniziativa

Generali Italia, la compagnia assicurativa del Gruppo Generali, è leader di mercato con la pi grande e diversificata rete distributiva in Italia. Agli oltre 10 milioni di clienti, tra persone, famiglie e imprese, offre soluzioni assicurative vita, danni e previdenza, personalizzate in base ai bisogni degli assicurati. Con una raccolta premi complessiva di 23,4 miliardi di euro, Generali Italia è il primo polo assicurativo del Paese. In Italia, il Gruppo opera con Generali Italia, Alleanza Assicurazioni, Generali Welion, Genertel e Genertellife.

Confindustria è la principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia, con una base, ad adesione volontaria, che conta oltre 150mila imprese di tutte le dimensioni, per un totale di 5.440.125 addetti. L’attività dell’associazione è di garantire la centralità dell’impresa, quale motore per lo sviluppo economico, sociale e civile del Paese. Confindustria rappresenta le imprese e i loro valori presso le Istituzioni, a tutti i livelli, per contribuire al benessere e al progresso della società. in questa chiave che garantisce servizi sempre pi diversificati,efficienti e moderni.

Confagricoltura è l’organizzazione di rappresentanza e tutela dell’impresa agricola italiana. Riconosce nell’imprenditore agricolo il protagonista della produzione e persegue lo sviluppo economico, tecnologico e sociale dell’agricoltura e delle imprese agricole. La presenza di Confagricoltura nel territorio nazionale si concretizza, in modo capillare, attraverso le Federazioni regionali (19), le Unioni provinciali (95), gli uffici di zona e le delegazioni comunali.

Confartigianato Imprese è la pi grande rete europea di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi all’artigianato e alle piccole imprese. Il Sistema Confartigianato opera in tutta Italia con una sede nazionale a Roma e 1.200 sedi territoriali che fanno capo a 118 Associazioni provinciali e a 20 Federazioni regionali. Confartigianato rappresenta le imprese appartenenti a decine di settori organizzate in 7 Aree di impresa, 12 Federazioni di categoria che, a loro volta, si articolano in 46 Associazioni di Mestiere.

Confprofessioni è la principale organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia. Fondata nel 1966 rappresenta e tutela gli interessi generali della categoria nel rapporto con le controparti negoziali e con le istituzioni politiche comunitarie nazionali e territoriali a tutti i livelli. Attraverso 20 delegazioni regionali, la Confederazione mira alla qualificazione e alla promozione delle attività intellettuali nel contesto economico e sociale. Firmataria del CCNL dei dipendenti degli Studi Professionali, raggruppa un sistema produttivo composto da oltre 1 milione e mezzo di liberi professionisti per un comparto di 4 milioni di operatori che formano il 12,5 % del Pil.

In collaborazione con

Innovation Team è la società di ricerca del Gruppo MBS Consulting. Aiuta le imprese nell’attuazione dell’innovazione e del cambiamento aziendale con la ricerca sociale e di mercato, le analisi tecniche e il supporto alle decisioni di management.

Welfare aziendale per l’amministratore unico? No, se percepisce un reddito assimilato al lavoratore dipendente

Secondo l’Agenzia delle Entrate l’amministratore unico di società che percepisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente non può usufruire dei benefici fiscali del welfare aziendale.

La Direzione Centrale Normativa, con risposta ad interpello n. 954-1535/2017 del 22 dicembre 2017, ha infatti escluso che i contributi assistenziali versati da una società di capitali a favore del proprio amministratore unico possano rientrare nell’ambito applicativo di non imponibilità reddituale fissato dal comma 2 dell’art. 51 del TUIR.

L’istante ha evidenziato di aver predisposto un regolamento aziendale che prevede, a favore degli amministratori della società, l’iscrizione ad una cassa avente esclusivamente finalità assistenziale con contribuzione interamente a suo carico. Considerato che al momento dell’interpello la gestione societaria risulta affidata ad un amministratore unico, è stato chiesto se nella fattispecie risulta applicabile il disposto della lettera a), comma 2 dell’art. 51 del TUIR, secondo cui non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente “i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20”.

L’Agenzia delle Entrate risponde negativamente in quanto la categoria dei beneficiari delineata dal regolamento aziendale è costituita dal solo amministratore unico. Secondo la Direzione Centrale Normativa l’inciso “in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale” implica che i contributi devono essere versati in favore della generalità dei dipendenti o di categorie omogenee e non siano invece riservati “ad personam”. Infatti, i contratti, gli accordi e i regolamenti aziendali sono atti adottati per disciplinare in modo uniforme condizioni applicabili alla generalità di dipendenti o a categorie di essi e non per definire condizioni riferibili ad un solo soggetto. Risultano pertanto esclusi i contratti individuali di lavoro. Detto in altre parole: se la società istante anziché essere gestita da un amministratore unico fosse amministrata da un Consiglio composto da due o più soggetti, le agevolazioni fiscali sarebbero applicabili. Insomma uno no, due sì.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP