Rapporto sul welfare nelle PMI e premiazione delle migliori azioni di welfare

L’8 marzo scorso ha debuttato a Roma Welfare Index PMI, con la presentazione del primo Rapporto nazionale 2016 sul Welfare nelle piccole e medie imprese, realizzato attraverso una ricerca condotta su 2.140 aziende dei tre settori produttivi: industria, commercio e servizi e agricoltura.

Durante l’evento sono state premiate 11 aziende delle tre categorie, che hanno ottenuto i punteggi più alti dell’indice per le migliori pratiche di welfare aziendale a favore dei propri dipendenti.

Promosso da Generali Italia, con la partecipazione di Confagricoltura e Confindustria, e con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Welfare Index PMI è l’indice che misura il livello di welfare aziendale nelle PMI italiane, con l’obiettivo di diffondere la cultura del Welfare nelle piccole medie imprese, che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo nazionale e occupano l’80% della forza lavoro del Paese.

Alla presenza di imprenditori, istituzioni e rappresentanti del terzo settore, l’iniziativa è stata presentata da Philippe Donnet, Country Manager e Amministratore Delegato di Generali Italia, Alberto Baban, Presidente Piccola Industria Confindustria e Mario Guidi, Presidente Confagricoltura. È intervenuto il ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti.

WELFARE INDEX PMI – I RISULTATI DEL RAPPORTO 2016

La ricerca, curata dalla società specializzata Innovation Team, ha messo in luce come il welfare aziendale sia in piena evoluzione e uno dei temi rilevanti nel prossimo futuro. Per la realizzazione del rapporto sono state intervistate 2.140 aziende, con numero tra 10 e 250 dipendenti, su 10 aree d’intervento in ambito welfare: previdenza integrativa, salute, assicurazioni per i dipendenti e le famiglie, tutela delle pari opportunità e sostegno ai genitori, conciliazione del lavoro con le esigenze familiari, sostegno economico ai dipendenti e alle loro famiglie, formazione per i dipendenti e sostegno alla mobilità delle generazioni future, sicurezza e prevenzione, sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale, welfare allargato al territorio.
Il 45% delle aziende intervistate è attivo in almeno 4 di questi ambiti e l’11% è molto attivo, perché realizza iniziative in più di 6 ambiti a favore dei propri dipendenti.

Inoltre, risulta che le PMI possono essere classificate sulla base di cinque diversi approcci al welfare aziendale:

  • “Vita e lavoro” (21% del totale), le imprese con rilevanti iniziative nelle aree della conciliazione vita e lavoro, del sostegno alle pari opportunità e ai genitori;
  • “Inclusivi” (9,5%), le imprese più attive nelle aree della integrazione sociale e delle iniziative di welfare allargate al territorio;
  • “People care” (10,8%), le imprese con iniziative concentrate soprattutto nelle aree della gestione delle risorse umane e dei fringe benefit;
  • “Attuatori” (48%), aziende attive in diverse aree del welfare aziendale che però prevalentemente applicano quanto previsto dai contratti nazionali di categoria;
  • “Beginner” (10,7%), imprese che sono nella fase iniziale di esperienza del welfare aziendale.

Complessivamente, le aree di welfare più utilizzate dalle imprese sono raggruppabili in tre tipologie:

  • Iniziative per la gestione del personale: formazione e sostegno alla mobilità (64,1%), assicurazioni per dipendenti e famiglie (53%), sostegno economico ai dipendenti (46,2%)
  • Iniziative classiche di welfare complementare: previdenza integrativa (40,4%), Salute (38,8%), sicurezza e prevenzione (38%)
  • Iniziative più innovative: pari opportunità e sostegno ai genitori (18,5%), welfare allargato al territorio (15%), integrazione sociale (14,1%) e conciliazione vita lavoro (4,9%)

Le motivazioni che spingono le PMI ad intraprendere iniziative di welfare aziendale sono risultate principalmente due: la gestione del personale, e quindi il benessere dei dipendenti per migliorarne la soddisfazione e la produttività, e la sostenibilità nel lungo termine del successo aziendale, unita ad aspetti reputazionali.

Gli incentivi fiscali emergono in ogni caso come determinanti: il 35% delle aziende afferma di aver effettuato i rilevanti investimenti di risorse aziendali compensati dai risparmi fiscali.

La dimensione aziendale risulta essere un fattore rilevante per lo sviluppo del welfare: maggiore è il numero dei dipendenti maggiore è la diffusione delle iniziative. Le aziende attive nel welfare hanno tipicamente più di 100 dipendenti.

Su base geografica non si evidenziano spiccate differenze tra Nord, Centro e Sud, ma solo ambiti specifici nelle diverse aree geografiche, a dimostrazione che il welfare aziendale rispecchia le specifiche esigenze del territorio, oltre che dell’impresa. Ad esempio, al Sud vi è una maggiore attenzione alle “pari opportunità e sostegno genitori” (25,8% Sud – 15,9% – Centro – 16,2% Nord) e alla “sicurezza e prevenzione incidenti” (51,3% Sud – 39,2 – Centro – 31,9 Nord).

Dalla ricerca emerge, infine, che i vincoli che frenano l’iniziativa delle piccole e medie imprese sono dovuti soprattutto alla carenza di informazioni chiare in merito alle modalità di attuazione del welfare aziendale, e alla mancanza delle competenze necessarie per mettere in atto le iniziative. Per questo motivo, circa il 60% delle imprese molto attive indica come fattore di primaria importanza la possibilità di accedere a servizi di informazione e consulenza da parte delle associazioni imprenditoriali.

WELFARE INDEX PMI – LA PREMIAZIONE

Durante l’evento sono state premiate le 11 imprese che si sono distinte per aver affiancato alle aree più classiche di welfare aziendale importanti iniziative nelle aree di conciliazione vita-lavoro e sostegno alla famiglia, oltre che delle pari opportunità. L’elemento comune a tutte le imprese vincitrici è l’impegno nell’integrazione sociale dei propri lavoratori e nelle iniziative di welfare allargate al territorio.

Le aziende Premiate:

Industria: 1° Colorificio San Marco (Marcon, Venezia) 2° Lurisia Acque Minerali, (Cuneo), 3° Panzeri (Bulciago, Lecco)
Commercio e Servizi:1° Rusconi Viaggi (Lecco), 2° Socfeder (Modena), 3° Wecare (Arenzano, Genova)
Agricoltura:1° Agrimad Società Agricola, San Demetrio Corone (Cosenza); 2° Salvi Vivai (Ferrara), 3° Barone Ricasoli (Gaiole in Chianti, Siena):

Inoltre, sono state assegnate due menzioni speciali, la prima all’Azienda Agricola Fungar (Coriano, Rn) che ha ricevuto la menzione speciale VALORE DONNA, per l’imprenditrice Loredana Alberti, la seconda alla Cooperativa Sociale Un Fiore per la Vita Onlus (RI), che ha ricevuto la menzione speciale di AGRICOLTURA SOCIALE.

Lo smart working fa bene all’impresa e all’economia

Riprendiamo l’articolo Lo smart working fa bene all’impresa e all’economia di Marco Magnani, originariamente apparto su Il Sole 24 ore del 27 febbraio 2016.

Marco Magnani è Senior Research Fellow della Harvard Kennedy School ed è membro del Comitato Guida di Welfare Index PMI.

Anche in Italia si parla con sempre maggiore frequenza di welfare aziendale. Negli Stati Uniti, dove il welfare state (stato sociale) è molto limitato, il vuoto è tradizionalmente colmato dalle imprese che offrono ai dipendenti, come parte della retribuzione e come forma d’incentivo, pacchetti di servizi e benefit. In Italia, e in gran parte d’Europa, molti di questi servizi sono storicamente offerti dallo Stato e finanziati dal prelievo fiscale.

Le cose tuttavia stanno cambiando. La necessità di contenere la spesa pubblica e la recente crisi economica stanno accelerando la diffusione del welfare aziendale in Italia: sempre più imprese offrono ai propri dipendenti pacchetti di beni e servizi gratuiti o a prezzi molto calmierati. Si va dall’auto aziendale ai contributi per la spesa di generi alimentari, dalla copertura di libri e tasse scolastiche ai viaggi studio per i figli, dall’assistenza sanitaria all’integrazione previdenziale, dalle convenzioni con gli asili al sostegno per la cura degli anziani.

Oltre a benefici “materiali”, sono sempre più diffuse anche le iniziative volte a migliorare il benessere psicofisico, la crescita personale e l’equilibrio tra vita privata e lavoro dei dipendenti. L’offerta comprende palestre aziendali, gruppi di ascolto e antistress, orari flessibili, qualità dell’ambiente di lavoro, corsi di formazione. Spesso i benefit sostituiscono un aumento dei salari con vantaggio per lavoratore e impresa: per motivi fiscali e perché il valore del contributo “in natura” è superiore a quanto il dipendente riuscirebbe ad acquistare con un aumento in busta paga.

Se ben implementata, l’introduzione del welfare aziendale a integrazione di quello pubblico, può dare vantaggi a tutte le parti coinvolte. All’impresa consente di aumentare la produttività, ripensare i modelli organizzativi, favorire la diversità, stabilire un più stretto collegamento tra retribuzione e performance. I dipendenti ottengono una migliore qualità di vita e aumentano il valore del pacchetto retributivo. Associazioni di categoria e sindacati offrono un servizio agli associati e benefici agli iscritti. La Pubblica Amministrazione può impiegare in modo più efficiente le proprie risorse. In generale, qualità di vita e ricchezza del territorio di riferimento tendono ad aumentare. E’ una win-win situation in cui potenzialmente tutti “vincono”. Rimane “scoperto” chi è senza occupazione. In questi casi il pubblico potrebbe rafforzare la propria azione, anche per facilitare il rientro nella forza lavoro.

  • A livello macroeconomico il welfare aziendale può stimolare la crescita dell’economia, soprattutto a livello locale. Per almeno tre motivi.
    Primo: l’aumento della domanda di welfare. Invecchiamento della popolazione, allungamento della vita lavorativa e incremento della partecipazione femminile al lavoro aumentano la domanda di servizi e di flessibilità. Inoltre, i continui cambiamenti dell’ambiente di lavoro e l’introduzione di nuove tecnologie stimolano la domanda di formazione e riqualificazione professionale.
  • Secondo: i limiti dell’offerta di welfare pubblico. La spesa è vincolata dall’elevato debito pubblico e molto concentrata su pensioni e sanità. Solo il 25% è infatti destinato a bisogni di sicurezza sociale, quali servizi di sostegno a famiglie, invalidi e poveri. La combinazione di aumento di domanda e fragilità dell’offerta pubblica di welfare è insostenibile. Nel 2025 si stima che in Italia il divario tra domanda e offerta di welfare sarà nell’ordine di 70 miliardi di euro.
  • Terzo: gran parte delle piccole e medie imprese non ha programmi di welfare. Si tratta di un enorme bacino di crescita perché le imprese italiane fra i 10 e 250 dipendenti rappresentano oltre l’80% degli occupati del settore privato. La diffusione del welfare aziendale è una strada obbligata dai vincoli del bilancio pubblico e dai trend di aumento della domanda di servizi sociali, ma costituisce anche un’opportunità per ripensare il rapporto impresa-dipendenti e, grazie all’indotto di servizi offerti, un’occasione di crescita economica per i territori.

Legge di Stabilità per il 2016: le novità in ambito welfare aziendale

In tema di Welfare aziendale la più importante novità della Legge di Stabilità per il 2016 è l’apertura alla sostituibilità tra premi in denaro e servizi.
In precedenza, infatti, il Fisco aveva quasi sempre negato l’esenzione contributiva e fiscale dei valori contenuti in piani di Welfare Aziendale in presenza di un evidente tentativo di sostituire, con gli stessi, retribuzione in denaro fissa o variabile; o ancora qualora l’Azienda avesse messo a disposizione una determinata somma lasciando al dipendente la scelta tra forma monetaria o servizi oppure consentendo la monetizzazione dei valori di Welfare non utilizzati.

Ora, grazie alla nuova normativa, ogni dipendente potrà individualmente scegliere di trasformare, in tutto in parte, il premio di produttività a lui spettante frutto della contrattazione collettiva (anche aziendale) e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, in “premio sociale” spendibile quindi in servizi di Welfare. Il vantaggio per il dipendente è innanzitutto di tipo fiscale, considerato che il premio è al lordo delle ritenute contributive e fiscali a suo carico (queste ultime anche se ridotte grazie all’applicazione della cd “detassazione” nella misura del 10%), mentre lo stesso importo in Welfare è al netto.

La somma in gioco è 2.000 €, innalzabile a 2.500 per le Aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, condizione quest’ultima che dovrà, tra le altre, essere definita in un decreto ministeriale di prossima emanazione. Ad essere agevolati sono i soli dipendenti del settore privato con un reddito da lavoro dipendente, nell’anno precedente, non superiore a 50.000 euro.

Poichè la scelta tra premio in denaro e Welfare è nella disponibilità di ogni dipendente, appare evidente l’importanza – specie nelle PMI – di una giusta comunicazione rivolta sia da parte datoriale (che a sua volta otterrebbe il beneficio dell’esenzione dei contributi previdenziali) che da parte sindacale, tendente a superare la “naturale” diffidenza del dipendente stesso verso forme sostitutive della retribuzione in denaro.

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP

Fare welfare in azienda conviene, al lavoratore e all’azienda

Fare welfare in azienda conviene: per i lavoratori il vantaggio consiste nel ricevere dal proprio datore di lavoro rimborsi di spese, erogazione di beni o servizi che non sono tassati in busta paga, nonchè agevolare la conciliazione tra vita privata e lavoro. Dal punto di vista delle aziende invece, a parte il risparmio contributivo e fiscale (oggi per garantire al lavoratore 1.000 € nette in denaro il datore di lavoro sostiene un costo di più del doppio a causa del cd “cuneo fiscale” ndr), il beneficio risiede nel miglioramento del clima aziendale, nell’accrescimento del senso di appartenenza, nel coinvolgimento e nella produttività dei propri lavoratori.

Oltre mettere mano alla precedente normativa risalente al 1986, senz’altro non più in grado di intercettare gli attuali nuovi bisogni sociali, la Legge di Stabilità 2016, in vigore dallo scorso 1° gennaio, ha innanzitutto il pregio di fare un po’ d’ordine dal punto di vista fiscale, la cui mancanza è certamente stata sino ad oggi uno dei principali deterrenti al potenziale innovativo del Welfare. In particolare, ciò è stato realizzato formalizzando il passaggio da un approccio al Welfare aziendale di tipo “volontario-unilaterale” da parte del datore di lavoro ad uno “bilaterale-contrattuale” per le specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto; nonchè introducendo la sostituibilità, prima negata, tra erogazioni in denaro (premi) e beni e servizi.

Le principali modifiche riguardano l’art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Come è noto il comma 2 elenca le voci escluse dal reddito di lavoro dipendente (e quindi esenti da contribuzione previdenziale e tassazione fiscale), tendenti a favorire totalmente o parzialmente somme o valori con funzioni sociali o di natura risarcitoria, tra cui a titolo esemplificativo:

  • i contributi versati a Casse sanitarie con specifici requisiti entro il limite di € 3615,20 (lett. a);
  • i servizi di mensa e i ticket restaurant cartacei fino a € 5,29 giornalieri; elettronici fino a € 7,00 (lett. c);
  • i servizi di trasporto collettivo (lett. d)
  • i contributi versati alla previdenza complementare entro il limite di € 5.164,57 (lett. h e art. 8, comma 4, Dlgs n. 252/2005);
  • particolari servizi di utilità sociale (lett. f e fbis).

Sono questi ultimi che sono stati oggetto di intervento legislativo, con la sostituzione della lettera f) e della lettera f bis), nonchè con l’aggiunta della lettera f ter). Nel dettaglio la nuova normativa prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente:

1) le opere e i servizi per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a contratti collettivi, a favore dei dipendenti e dei suoi familiari (lett. f);

2) le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte dei familiari dei dipendenti, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari (lett. f bis);

3) le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (lett. f ter);
se rivolti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti, con la precisazione che l’espressione categoria di dipendenti non va intesa soltanto in riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, quadri, operai ecc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (per esempio, tutti quelli di un certo livello o di una certa qualifica o di una certa anzianità aziendale o reparto).

I predetti interventi, anche se in parte sovrapponibili uno con l’altro, coprono tutti i bisogni sociali, dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza degli anziani.
Da rilevare che ove la legge parla espressamente anche di “somme” (lett. f bis e ter) è possibile, da parte del dipendente, farsi rimborsare le spese sostenute dietro giustificativi; ove invece si limita a prevedere “opere e servizi” (lett. f) o “prestazioni”, significa che il datore di lavoro deve offrire al dipendente servizi diretti, anche se tramite il ricorso a strutture esterne all’Azienda.
Peraltro, con l’introduzione anche del nuovo comma 3 bis all’art. 51, in luogo dei predetti servizi diretti, dal 2016 è possibile ricorrere a documenti di legittimazione (cd voucher) da spendere presso fornitori di servizi accreditati (per esempio asili nido o servizi di assistenza agli anziani).

Claudio Della Monica
Consulente del Lavoro – Della Monica & Partners srl STP