Welfare Index PMI 2021 – Il Welfare Aziendale genera impatto sociale

Il Covid ha cambiato il significato del welfare aziendale: l’impresa al centro della comunità e una nuova consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa
Con il welfare aziendale le PMI oggi sostengono le priorità del PNRR con un impatto su: salute, donne, giovani, famiglie e comunità.

Il welfare aziendale continua a crescere: oltre il 64% delle piccole e medie imprese italiane ha superato il livello iniziale; in 6 anni le imprese più attive nel welfare sono più che raddoppiate

Assegnato il rating 5W a 105 imprese Welfare Champion (22 nel 2017)

Più di 6000 imprese di tutti i settori produttivi per la sesta edizione di Welfare Index PMI: per la prima volta misura l’impatto sociale del welfare aziendale su tutti gli stakeholder: lavoratori, famiglie, comunità, fornitori, consumatori

Welfare Index PMI promuove le PMI italiane in Europa con SME EnterPRIZE, la nuova iniziativa di Generali per premiare i modelli di business sostenibili delle imprese europee.

Marco Sesana, Country Manager & Ceo Generali Italia e Global Business Lines:“In questo nuovo contesto ancora caratterizzato dal Covid-19, attraverso Welfare Index PMI abbiamo osservato come le imprese abbiano agito come soggetto sociale, oltre che economico e di mercato, per la loro diffusione nel territorio e per la vicinanza ai lavoratori e alle famiglie, dando vita a un nuovo welfare di comunità. Le imprese hanno dimostrato che il welfare aziendale oggi può e deve uscire dall’azienda. Guardare non solo ai dipendenti e famiglie, ma includere e creare valore per fornitori, territorio e comunità. Il maggior numero di iniziative intraprese sostengono le priorità del PNRR sui grandi asset del Paese con un impatto su: salute, donne, giovani, famiglie e comunità. Questo oggi ci conferma che il welfare, oltre ad essere strategico per la crescita delle imprese, sarà leva per la ripresa sostenibile del Paese”.

Il Comitato Guida di Welfare Index PMI ha dichiarato:Già nella scorsa edizione registravamo una crescente consapevolezza del ruolo di responsabilità sociale che le PMI sentivano di doversi assumere, accelerato anche dall’emergenza Covid. In questa nuova edizione abbiamo voluto registrare scientificamente l’impatto sociale che le attività di welfare aziendale hanno avuto su tutti gli stakeholder, interni ed esterni all’impresa. Welfare Index PMI può costituire non solo informazione, servizio, fonte d’ispirazione per le PMI che vogliono intraprendere o migliorare le loro politiche di welfare aziendale, ma una fotografia che, auspichiamo, possa essere un contributo importante per il rilancio del nostro Paese. Questa fotografia nasce dalla collaborazione di imprese, istituzioni, esperti ed associazioni”.

9 settembre – Roma. Il welfare aziendale genera impatto sociale: le piccole e medie imprese italiane hanno avuto un ruolo centrale nell’affrontare l’emergenza Covid-19 ed è aumentata la consapevolezza del loro impatto sociale attraverso iniziative di welfare aziendale. Oggi le PMI sono fondamentali per la ripresa e rinascita del Paese e le loro strategie di welfare aziendale sostengono le priorità del PNRR: Salute, Donne, Giovani, Famiglie e Comunità.

È quanto emerge dal Rapporto Welfare Index PMI 2021 sullo stato del welfare nelle piccole e medie imprese italiane, giunto alla sesta edizione, che ha coinvolto più di 6000 imprese di tutti i settori produttivi e di tutte le dimensioni, ed è stato illustrato oggi a Roma alla presenza di: On. Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, On. Anna Ascani, Sottosegretaria di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico; Marco Sesana, Country Manager & Ceo Generali Italia e Global Business Lines; Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura; Gaetano Stella, Presidente Confprofessioni; Dario Bruni, Delegato del Presidente Confartigianato al Lavoro e Bilateralità; Maurizio Grifoni, Presidente Fondo FON.TE Confcommercio; Maurizio Stirpe, Vice Presidente Confindustria per il Lavoro e le Relazioni Industriali; Lucia Sciacca, Direttore Comunicazione e Sostenibilità di Generali Italia e Membro del Comitato Welfare Index PMI; Enea Dallaglio, Partner Innovation Team – Gruppo Cerved.

Nell’occasione, è stato assegnato a 105 imprese Welfare Champion il rating 5W (erano 22 nel 2017). L’iniziativa è promossa da Generali Italia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con la partecipazione delle principali Confederazioni italiane: Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni e Confcommercio.

Secondo il Rapporto 2021, il welfare continua a crescere nelle PMI: oltre il 64% delle piccole e medie imprese italiane ha superato il livello iniziale. In 6 anni le imprese con un livello di welfare elevato sono più che raddoppiate, passando dal 9,7% del 2016 all’attuale 21%.

Il Rapporto ha messo in evidenza che per affrontare la pandemia le imprese hanno attuato numerose iniziative di welfare aziendale: in ambito sanitario, dai servizi diagnostici per il Covid-19 (43,8%) ai servizi medici di consulto anche a distanza (21,3%) a nuove assicurazioni sanitarie (25,7%); nella conciliazione vita-lavoro, con maggiore flessibilità oraria (35,8%) e nuove attività di formazione a distanza (39%) e aiuti per la gestione dei figli e degli anziani (7,2%); a sostegno dei lavoratori e delle famiglie, con aumenti temporanei di retribuzione e bonus (38,2%) e sostengo nell’educazione scolastica dei figli (4,8%); ma anche offrendo contributi alla comunità esterna, come donazioni (16,4%) e sostegni al Sistema Sanitario e alla ricerca (9,2%). La gran parte di queste iniziative sono tuttora in corso e per il 42,7% delle imprese sono strutturali e permanenti. Inoltre, emerge che il 54,8% delle imprese che hanno inserito il welfare nella strategia aziendale ha registrato ritorni positivi sulla produttività. Guardando al futuro 2 imprese su 3 intendono rafforzare l’impegno sociale verso i lavoratori (67,5%) e verso gli stakeholder esterni: la comunità locale e la filiera produttiva (63,1%).


Oggi le PMI sostengono le priorità del PNRR con un impatto su: Salute, Donne, Giovani, Famiglie e Comunità

Salute: cresce al 92,2% il numero di imprese che mette salute e sicurezza dei lavoratori come valori centrali nella gestione dell’azienda; il 22% hanno già attivato numerose iniziative di salute e assistenza per i lavoratori e i familiari.

Giovani – occupazione: oltre la metà delle PMI più attive nel welfare ha assunto nuovi lavoratori (51,2% vs media del 39,8%) contribuendo alla mobilità sociale di donne e giovani

Donne – opportunità di lavoro e di carriera: la presenza femminile sale al 42% nelle imprese più attive nel welfare vs media 32,5%; salgono al 45,5% le donne in posti di responsabilità vs media 36,2%

Comunità: il 56% delle imprese hanno attivato numerose iniziative a sostegno della propria comunità

Per la prima volta l’indagine misura l’impatto sociale delle iniziative di welfare aziendale su tutti gli stakeholder: lavoratori, famiglie, comunità, fornitori, consumatori.

Si rafforza lo strumento di analisi di Welfare Index PMI, che valuta 127 variabili per indagare le misure delle iniziative, della capacità gestionale e di performance.

Il nuovo modello di analisi sviluppato con Cerved Rating Agency. Oltre alle iniziative di welfare per i lavoratori e le loro famiglie, ha monitorato l’impegno delle imprese nella tutela dei diritti e delle diversità, la responsabilità verso consumatori e fornitori, e sono state rafforzate le aree dello sviluppo del capitale umano, della tutela delle condizioni di lavoro, del welfare di comunità.

Il nuovo modello è organizzato in dieci aree: 1) Previdenza e protezione, 2) Salute e assistenza, 3) Conciliazione vita-lavoro, 4) Sostegno economico ai lavoratori, 5) Sviluppo del capitale umano, 6) Sostegno per educazione e cultura, 7) Diritti, diversità, inclusione, 8) Condizioni lavorative e sicurezza, 9) Responsabilità sociale verso consumatori e fornitori; 10) Welfare di comunità.

105 le imprese Welfare Champion che quest’anno hanno ricevuto il rating 5W (erano 22 nel 2017)

Sono 105 le imprese Welfare Champion 2021 che hanno ottenuto le 5 W del rating Welfare Index PMI. Storie straordinarie di imprese che si sono impegnate su temi rilevanti per il Paese. Si tratta delle realtà caratterizzate da numerose iniziative in diversi ambiti del welfare aziendale, capacità gestionali e impegno economico-organizzativo elevati e impatti sociali significativi sulle comunità interne ed esterne all’impresa.


Welfare Index PMI promuove le PMI italiane in Europa con SME EnterPRIZE, la nuova iniziativa di Generali per premiare i modelli di business sostenibili delle imprese europee

Quest’anno Welfare Index PMI promuove il valore del welfare aziendale in Europa con la partecipazione alla prima edizione di SME EnterPRIZE, l’iniziativa di Generali che premia e valorizza i migliori esempi di business sostenibile sviluppati dalle piccole e medie imprese europee. Durante l’evento internazionale, che si terrà a Bruxelles il 28 settembre alla presenza di rappresentanti delle istituzioni europee e dei media, sarà inoltre presentato il White Paper sull’integrazione dei principi di sostenibilità nelle PMI europee, sviluppato da Generali in collaborazione con SDA Bocconi. Maggiori informazioni sono disponibili su https://it.sme-enterprize.com/.

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Il Comitato Guida

Cristina Calabrese, Amministratore Delegato – Key2people
Mario Calderini, Professore Ordinario – Politecnico di Milano
Gerardo Capozza, Consigliere del ruolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Vito Cozzoli, Presidente e Amministratore Delegato – Sport e Salute Spa
Marco Magnani, Economista – Harvard e LUISS
Vincenzo Mamoli, Segretario Generale – Confartigianato
Francesca Mariotti, Direttore Generale – Confindustria
Andrea Mencattini, Head of Governance & Institutional Relations – Generali Country Italy & Global Business Lines
Pamela Morassi, Capo della Segreteria tecnica del Ministro dello Sviluppo Economico
Giovanni Luca Perin, Chief HR & Organization Officer – Generali Country Italy & Global Business Lines
Francesco Postorino, Direttore Generale – Confagricoltura
Donatella Prampolini, Vice Presidente – Confcommercio
Lucia Sciacca, Direttore Comunicazione e Social Responsibility Generali Country Italy & Global Business Lines e Membro del Comitato Guida Welfare Index PMI
Gaetano Stella, Presidente – Confprofessioni

Il modello di analisi Welfare Index PMI

Il modello di analisi Welfare Index PMI, giunto alla sesta edizione, è stato arricchito tanto nell’oggetto di indagine quanto nei criteri di misurazione.
Per quanto riguarda l’oggetto, sono stati introdotti sia nuovi ambiti di rilevazione sia nuove variabili in ambiti già esaminati. Il nuovo modello è strutturato in dieci aree che accorpano le dodici del modello precedente e le integrano con i nuovi contenuti.
Per quanto riguarda i criteri di misurazione, sono stati introdotti nuovi indicatori che permettono di valutare le attività di welfare aziendale sotto diversi aspetti:

  • Indicatori di iniziativa: misurano l’ampiezza delle misure di welfare adottate e l’intensità delle iniziative in ogni area.
  • Indicatori di capacità gestionale: misurano la proattività delle imprese (capacità di intraprendere iniziative proprie, non solo in applicazione dei contratti nazionali), il coinvolgimento dei lavoratori, la comunicazione, la conoscenza delle norme, l’adozione di policy formalizzate con regolamenti e accordi.
  • Indicatori di performance: misurano i livelli effettivi di attuazione delle iniziative (entità della spesa, ampiezza della popolazione beneficiaria delle attività, esistenza di controlli e certificazioni) e i risultati ottenuti: per esempio indici di sicurezza del lavoro (infortuni), turnover dei dipendenti, indici di parità dei diritti e delle opportunità (quota effettiva di donne nella forza lavoro e in ruoli di responsabilità, quota di giovani nella forza lavoro).

I 105 Welfare Champion 2021

  • Abici Onlus Società Cooperativa Sociale – Palermo, Sicilia
  • AEPI Industrie Srl – Bologna, Emilia-Romagna
  • Aizoon Consulting Srl – Torino, Piemonte
  • Amag Spa – Alessandria, Piemonte
  • Apistica Mediterranea Società Cooperativa Agricola – Cagliari, Sardegna
  • Artigianservizi Srl – Perugia, Umbria
  • Azienda Agricola Baggini – Pavia, Lombardia
  • Azienda Agricola La Gentile Di Lupino Nello – Viterbo, Lazio
  • B+B International Srl – Treviso, Veneto
  • Baobab Cooperativa Sociale – Varese, Lombardia
  • Barone Ricasoli Spa Agricola – Firenze, Toscana
  • beanTech Srl – Udine, Friuli-Venezia Giulia
  • Brovedani Group Spa – Pordenone, Friuli-Venezia Giulia
  • Bureau Veritas Italia SpA – Milano, Lombardia
  • Business School24 – Milano, Lombardia
  • Castel Srl – Milano, Lombardia
  • Cefriel – Milano, Lombardia
  • Clinica Mediterranea Spa – Napoli, Campania
  • Co.Mac. Srl – Bergamo, Lombardia
  • Connecthub Srl – Mantova
  • Dario Rino Di Dario Andrea & C. Sas – Verona
  • Diemmebi Spa – Treviso
  • Dopo Di Noi Società Cooperativa Sociale – Udine
  • Effebi Arredamenti Di Bellasio Pierino & C. Snc – Como
  • Eicon Srl – Torino
  • Eisai Srl – Milano, Lombardia
  • Elettronica Spa – Roma, Lazio
  • Enrico Cantù Assicurazioni Srl – Varese, Lombardia
  • Equilibrio E Benessere Srl – Mantova, Lombardia
  • Ergon Stp Srl – Trieste, Friuli-Venezia Giulia
  • Eurofork Spa – Torino, Piemonte
  • Europea Microfusioni Aerospaziali Spa – Avellino, Campania
  • Fairmat Srl – Verona, Veneto
  • Farco Group – Brescia, Lombardia
  • Flamma Spa – Bergamo, Lombardia
  • Furfaro Luca – Studio Professionale – Torino, Piemonte
  • Galvanica Sata Srl – Brescia, Lombardia
  • Giacomini Spa – Novara, Piemonte
  • Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners – Roma, Lazio
  • Gruppo Master – Bari, Paglia
  • Gruppo Società Gas Rimini Spa – Rimini, Emilia-Romagna
  • Il Balzo Onlus – Milano, Lombardia
  • Il Pugno Aperto Società Cooperativa Sociale – Bergamo, Lombardia
  • Il Tetto Casal Fattoria Cooperativa Sociale – Roma, Lazio
  • Illumia Spa – Bologna, Emilia-Romagna
  • Imc Group – Milano, Lombardia
  • Inel Elettronica Srl – Vicenza, Veneto
  • Innospec Performance Chemicals Italia Srl – Mantova, Lombardia
  • Intercos Europe Spa – Monza e della Brianza, Lombardia
  • Karrell Srl – Verona, Veneto
  • Kohler Srl – Reggio Emilia, Emilia-Romagna
  • La Dua Valadda Società Cooperativa Sociale – Torino, Piemonte
  • La Grande Casa Società Cooperativa Sociale Onlus – Milano, Lombardia
  • La Nuvola Società Cooperativa Sociale Impresa Sociale Onlus – Brescia
  • Laboratoires Expanscience Italia Srl – Mustela – Milano, Lombardia
  • Lizard Srl – Trento, Trentino-Alto Adige
  • Lo Scrigno Società Cooperativa Sociale Onlus – Milano, Lombardia
  • Maps Spa – Parma, Emilia-Romagna
  • MASMEC Spa – Bari, Puglia
  • Mazzucchelli 1849 Spa – Varese, Lombardia
  • Metal.B. Srl – Vicenza, Veneto
  • Monini Spa – Perugia, Umbria
  • Mw.Fep Spa – Gorizia, Friuli-Venezia Giulia
  • Natura Iblea Srl – Paniere Bio – Ragusa, Sicilia
  • Nep Srl – Venezia, Veneto
  • Odontosalute Isernia – Isernia, Molise
  • Omet Srl – Lecco, Lombardia
  • Opensymbol Srl – Vicenza, Veneto
  • operari Srl Società Benefit – Milano, Lombardia
  • Paolo Trilli, Iascone, Merelli, Papini & C. Sas – Firenza, Toscana
  • Performance In Lighting Spa – Verona, Veneto
  • Peverelli Srl – Como, Lombardia
  • Planetek Italia Srl Società Benefit – Bari, Puglia
  • Portolano Cavallo Studio Legale – Roma, Lazio
  • Produttori Di Manduria – Taranto, Puglia
  • Progesto Srl Società Benefit – Vicenza, Veneto
  • Riello Spa – Verona, Veneto
  • Rubinetterie Bresciane Bonomi Spa – Brescia, Lombardia
  • SAVE Spa – Venezia, Veneto
  • Selle Royal Spa – Vicenza, Veneto
  • Serena Società Cooperativa Sociale Onlus – Ferrara, Emilia-Romagna
  • Sidea Group Srl – Brindisi, Puglia
  • Sidip Srl – Bergamo, Lombardia
  • Sis.Ter Srl – Bologna, Emilia-Romagna
  • Skillpharma Srl – Roma, Lazio
  • Società Agricola Medio Campidano Srl – Sud Sardegna
  • Sonzogni Camme Spa – Bergamo, Lombardia
  • Sostene Società Cooperativa Sociale – Padova, Veneto
  • Staff Spa – Mantova, Lombardia
  • STILL Spa – Reggio Emilia, Emilia-Romagna
  • Studio Aversano Piermassimo – Pistoia
  • Studio Ballotta, Sghirlanzoni & Associati – Bergamo, Lombardia
  • Studio Sila – Brescia, Lombardia
  • Studio Vannucchi e Associati, Prato, Toscana
  • Studio Zanon Consulente del Lavoro – Venezia, Veneto
  • Studiomartini Srl – Stp – Ravenna, Emilia-Romagna
  • Suanfarma Italia Spa – Trento, Trentino-Alto Adige
  • Supermercato S.Lucia Srl – Perugia, Umbria
  • System Logistics Spa – Modena, Emilia-Romagna
  • TeaPak Srl – Bologna, Emilia-Romagna
  • UMBRAGROUP Spa – Perugia, Umbria
  • Verdebionatura – Non Solo Piccoli Frutti – Sondrio, Lombardia
  • Vianova Spa – Lucca, Toscana
  • W&H Sterilization Srl – Bergamo, Lombardia
  • Way2global Srl Società Benefit – Milano, Lombardia

I partner dell’iniziativa

Generali Italia conta oltre 25,6 miliardi di premi totali e una rete capillare di 40 mila distributori, oltre ai canali online e di bancassurance. 13 mila dipendenti, oltre 138 miliardi di asset under management. A Generali Italia fanno capo Alleanza Assicurazioni, Das, Genagricola, Genertel e Genertellife, Generali Welion e Generali Jeniot.

Confagricoltura è la più antica organizzazione di rappresentanza e tutela dell’impresa agricola italiana. Si impegna per lo sviluppo delle aziende agricole e del settore primario in generale, a beneficio della collettività, dell’economia, dell’ambiente e del territorio. Favorisce l’accesso all’innovazione delle imprese, alla sostenibilità delle pratiche agricole e alla competizione delle aziende sui mercati interni e internazionali. La presenza di Confagricoltura nel territorio nazionale si concretizza in modo capillare attraverso le Federazioni regionali (19), le Unioni provinciali (95), gli uffici di zona e le delegazioni comunali.

Confartigianato Imprese è la più grande rete europea di rappresentanza degli interessi e di erogazione di servizi all’artigianato e alle piccole imprese. Il Sistema Confartigianato opera in tutta Italia con una sede nazionale a Roma e 1.200 sedi territoriali che fanno capo a 118 Associazioni provinciali e a 20 Federazioni regionali. Confartigianato rappresenta le imprese appartenenti a decine di settori organizzate in 7 Aree di impresa, 12 Federazioni di categoria che, a loro volta, si articolano in 46 Associazioni di Mestiere.

Confcommercio-Imprese per l’Italia è la più grande rappresentanza d’impresa in Italia con oltre 700 mila imprese associate del commercio, del turismo, dei servizi, dei trasporti e logistica e delle professioni. Con il suo articolato e diffuso sistema associativo – territoriale, di categoria e di settore – Confcommercio-Imprese per l’Italia tutela e rappresenta le imprese associate nei confronti delle Istituzioni, valorizzando il ruolo del terziario di mercato che è il vero motore dell’economia nazionale. Fanno parte delle attività istituzionali della Confederazione la firma di contratti collettivi nazionali di lavoro e di accordi collettivi di categoria, la promozione di forme di assistenza tecnica alle imprese, di strumenti di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa e dei Consorzi fidi per favorire l’accesso al credito, così come la promozione di strutture collegate, enti, associazioni e istituti finalizzati allo sviluppo delle imprese e dei settori rappresentati.

Confindustria è la principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia con una base, ad adesione volontaria, che conta oltre 150mila imprese di tutte le dimensioni, per un totale di 5.417.168 addetti. La mission dell’associazione è favorire l’affermazione dell’impresa quale motore per lo sviluppo economico, sociale e civile del Paese. Confindustria rappresenta le imprese e i loro valori presso le Istituzioni, a tutti i livelli, per contribuire al benessere e al progresso della società. E’ in questa chiave che, attraverso le proprie Associazioni territoriali e di categoria, risponde ogni giorno alle necessità delle imprese, analizzando e interpretando gli scenari competitivi, affiancandole in un percorso di crescita, innovazione e cultura di impresa, che coniuga visione e risposta a fabbisogni specifici.

Confprofessioni è la principale organizzazione di rappresentanza dei liberi professionisti in Italia. Attraverso l’adesione volontaria di 21 associazioni di categoria, la Confederazione italiana libere professioni riunisce un sistema economico e sociale composto da oltre 1,5 milioni di liberi professionisti, che sviluppano un comparto produttivo di 4 milioni di lavoratori che formano il 12,5% del Pil nazionale. La mission di Confprofessioni è promuovere e affermare il lavoro e la cultura professionale nella società e nell’economia, per favorire lo sviluppo e il benessere del Paese attraverso percorsi di crescita inclusivi e sostenibili nell’ambito del lavoro e dell’economia, del diritto e della giustizia, della sanità e della salute, dell’ambiente, del territorio e del patrimonio culturale italiano. Firmataria, per la parte datoriale, insieme con le controparti sindacali del comparto, del Contratto collettivo nazionale di lavoro degli studi professionali, il più rappresentativo del settore professionale nel panorama della contrattazione nazionale, Confprofessioni promuove e tutela gli interessi collettivi delle categorie professionali che si riconoscono nei valori della Confederazione.

In collaborazione con

Innovation Team
Cerved Rating Agency

La riforma fiscale

di Andrea Dili – Dottore Commercialista

Nei giorni scorsi le commissioni finanze della Camera dei Deputati e del Senato hanno reso pubbliche le conclusioni dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale avviata nove mesi fa e condotta attraverso ben 61 audizioni, che hanno visto la partecipazione delle parti sociali e di alcuni dei massimi esperti di diritto tributario.

La relazione conclusiva, che contiene la sintesi condivisa delle posizioni espresse dalle varie forze politiche, fornisce interessanti indicazioni su quelle che, presumibilmente, saranno le linee di intervento seguite dal Governo nel momento del varo della annunciata riforma fiscale.

Il documento parlamentare è articolato in due capitoli, il primo focalizzato sugli obiettivi di fondo della riforma, il secondo su alcune proposte ritenute utili per raggiungere tali obiettivi. Già dalla lettura del sommario si può comprendere come il lavoro delle commissioni, inizialmente focalizzato sull’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), abbracci un orizzonte ben più ampio, andando a incidere su alcuni elementi cardine del sistema tributario italiano e, più in generale, sul rapporto fisco/contribuente nell’ottica dello stimolo alla crescita economica del Paese.

È proprio il tema della crescita, infatti, ad aprire la riflessione delle commissioni, che rilevano come il cattivo funzionamento del sistema fiscale sia una zavorra che pesa inesorabilmente sulla competitività del sistema Italia, confermando peraltro quanto più volte emerso dalle migliori ricerche internazionali. Quale, ad esempio, il rapporto annuale sulla competitività economica stilato dalla Banca Mondiale, Doing Business 2020, che nel ranking che misura la complessità dei sistemi fiscali vede l’Italia occupare il 128esimo posto (tra il Mozambico e il Myanmar) su 190 paesi.

Partendo da tale constatazione, le commissioni propongono una revisione del modello fiscale italiano sulla base di tre linee di intervento:

  1. la riduzione della tassazione sul lavoro, orientamento peraltro già seguito nell’ultimo decennio attraverso varie misure concentrate esclusivamente sul lavoro dipendente (decontribuzioni ebonus);
  2. la razionalizzazione delle aliquote marginali effettive, che disincentivano l’offerta di lavoro e amplificano le distorsioni del sistema;
  3. la semplificazione, declinata nel riordino delle norme fiscali in testi unici, nell’elevazione di alcune parti dello statuto del contribuente a rango costituzionale, nella cancellazione di una pluralità di tributi minori e nell’avvicinamento del bilancio fiscale a quello civilistico.

Un programma certamente molto ambizioso, ricordando che di riequilibrio del rapporto tra fisco e contribuenti si discute da lungo tempo con l’obiettivo di ridurre gli adempimenti fiscali a carico di imprese e professionisti.

Per raggiungere tali obiettivi le commissioni individuano, non senza contraddizioni, una serie di misure: dalla revisione del modello IRPEF al superamento dell’IRAP, dalla reintroduzione dell’IRI alla semplificazione dell’IRES. Tali indicazioni assumono particolare rilievo poiché, come già dichiarato da autorevoli esponenti del Governo, le conclusioni dell’indagine conoscitiva effettuata dalle commissioni parlamentari costituiranno il punto di partenza della riforma fiscale preannunciata anche all’interno del PNRR. Proviamo, quindi, a esaminarle sinteticamente.

Per quanto riguarda l’imposizione sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) vengono declinati una pluralità di interventi, il più significativo dei quali afferisce alla riduzione della aliquota media effettiva sopportata dai contribuenti della cosiddetta “classe media” (tra 28mila e 55mila euro di reddito) e alla armonizzazione delle aliquote marginali effettive, da realizzarsi attraverso “un intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito”, le cui modalità attuative non vengono tuttavia specificate. Le commissioni, inoltre, propongono l’introduzione di un reddito “minimo esente”, rinforzato per i giovani under 35, al di sotto del quale verrebbe meno l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi. Viene infine ravvisata l’esigenza di tagliare il numero delle detrazioni d’imposta, numero cresciuto notevolmente nel corso dell’ultimo ventennio.

Per quanto riguarda le persone fisiche con partita iva viene proposto un rafforzamento del modello forfettario che, attraverso un meccanismo assai complesso, verrebbe esteso, a determinate condizioni, anche a coloro che superano l’attuale soglia di 65mila euro di ricavi (o compensi) annui, ripescando in forma ridotta la cosiddetta “flattax fino a 100mila euro” introdotta dal Governo Conte 1 e soppressa dal Governo Conte 2 prima della sua effettiva entrata in funzione.

Come accennato, poi, per imprese individuali e società di persone in contabilità ordinaria viene riproposto il regime opzionale IRI (imposta sul reddito di impresa), già introdotto dalla legge di bilancio 2018 e successivamente abrogato senza mai essere utilizzato, che consentirebbe a tali soggetti di applicare una aliquota proporzionale nel caso in cui l’utile prodotto venisse reinvestito nell’impresa.

Sembrano, invece, particolarmente interessanti le proposte in merito alla revisione del modello di imposizione sui redditi di natura finanziaria: in primo luogo l’attuale frammentazione di tali tipologie di redditi ai fini fiscali, che genera effetti distorsivi, verrebbe ricondotta a unitarietà; in secondo luogo viene immaginata una forte incentivazione degli investimenti nella previdenza complementare.

Al contrario, appaiono ancora non ben definite le indicazioni afferenti l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), che verrebbe superata attraverso una traslazione del gettito su altri tributi.

Le novità più ragguardevoli, non senza sorpresa considerando che il dibattito degli ultimi mesi è stato incentrato quasi esclusivamente sull’IRPEF, si registrano in merito all’imposta sul reddito delle società (IRES), dove verrebbero messi in campo specifici incentivi volti a migliorare la produttività delle imprese e la crescita dell’intero sistema imprenditoriale italiano. Di particolare rilevanza, infatti, appare l’incentivazione delle aggregazioni di imprese di dimensioni minori: la frammentazione del tessuto imprenditoriale, infatti, costituisce un freno all’incremento della produttività. Sul medesimo piano anche le misure volte a promuovere l’impiego dell’utile di esercizio in investimenti a favore della produttività e dell’incremento dei posti di lavoro. Non potevano mancare, inoltre, considerando il contesto post pandemico e le linee dettate dal PNRR, specifiche misure a favore della transizione ecologica, tra le quali l’incentivazione alla riqualificazione energetica e ambientale e alla decarbonizzazione.

Il documento delle commissioni parlamentari, infine, si chiude con alcune proposte volte al miglioramento del rapporto tra fisco e contribuenti. Certamente apprezzabile, anche se per valutarne la reale efficacia occorrerà verificare le concrete modalità di attuazione, è l’idea di “scambiare” l’universalizzazione della fatturazione elettronica – che sarebbe estesa a tutti i soggetti oggi esentati, quali ad esempio i forfettari – e più in generale degli strumenti digitali con la riduzione degli adempimenti per imprese e professionisti. Ancora più meritevole, se attuata, sarebbe l’intenzione di garantire l’interoperabilità delle banche dati. In merito, occorre ricordare come nel corso del recente ciclo di audizioni tenutosi presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria sia emerso che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, unitamente alle agenzie di riferimento, gestisce ben 161 banche dati: una mole di informazioni che, se correttamente utilizzata, potrebbe risolvere gran parte del problema dell’evasione fiscale.

A ben vedere, sintetizzando, la relazione delle commissioni parlamentari appare un insieme di proposte di indirizzo verso una revisione di un sistema tributario che, dati alla mano, necessiterebbe di una riforma complessiva per risultare più efficiente. Un risultato che presumibilmente risente della necessità di trovare una sintesi tra forze politiche eterogenee e della scarsità di risorse finanziarie disponibili. Vedremo nei prossimi mesi, quando l’iniziativa passerà al Governo, se le sintesi che verranno raggiunte condurranno a un sistema fiscale più equilibrato ed efficiente.

Andrea Dili
Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

Le riforme e gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

di Andrea Dili – Dottore Commercialista

Qualche giorno fa il Governo italiano ha inviato all’UE il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il programma di riforme e investimenti che – nell’ambito degli interventi afferenti il Next Generation EU (NGEU) – definisce la strategia italiana per la ripartenza post pandemia. Il PNRR, quindi, delinea le azioni che nei prossimi anni (dal 2021 al 2026) saranno messe in campo per riformare e modernizzare il nostro Paese, con l’obiettivo di ridurne – se non colmarne – i divari strutturali.

Per tali ragioni cittadini e, soprattutto, operatori economici dovrebbero prestare particolare attenzione alle indicazioni contenute nelle 270 pagine del PNRR, al fine di poterne tempestivamente cogliere le (numerose) opportunità.

Venendo alla struttura del Piano occorre evidenziare che esso è stato costruito attorno a tre assi portanti: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. In tale contesto viene declinato un complesso di riforme e investimenti che nelle intenzioni del Governo dovrebbero:

  • accrescere la competitività, l’efficienza e l’equità del nostro Paese;
  • incoraggiare gli investimenti;
  • ampliare la fiducia dei cittadini e degli operatori economici.

Per quanto riguarda le riforme gli obiettivi individuati nel PNRR sono piuttosto ambiziosi, toccando segmenti della pubblica amministrazione che già in passato sono stati oggetto di tentativi di riorganizzazione raramente andati a buon fine: tra questi meritano particolare menzione la semplificazione delle norme e delle procedure, l’accrescimento delle competenze e la digitalizzazione della P.A., la riforma della giustizia (civile, tributaria e penale), con l’obiettivo prioritario di ridurre i tempi del giudizio, e dell’ordinamento giudiziario, le semplificazioni in materia edilizia, ambientale e dei pubblici appalti, la promozione della concorrenza anche attraverso lo sviluppo delle telecomunicazioni. Vengono, infine, citate la revisione dell’IRPEF e la riforma degli ammortizzatori sociali, di cui Governo e Parlamento, peraltro, si stanno già occupando anche con il coinvolgimento delle parti sociali.

Le sei missioni del PNRR

La parte più corposa del Piano viene dedicata alle modalità di investimento con le quali saranno impiegate le risorse che l’Italia riceverà dall’Europa, stimate in 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 di sovvenzioni e 122,6 di prestiti. Lo schema degli interventi viene rappresentato in sei diverse missioni, ciascuna delle quali viene a sua volta esplosa in una pluralità di componenti. In particolare:

  • la prima missione, finanziata con 40,73 miliardi di euro, è dedicata a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  • la seconda, per la quale vengono stanziati 59,33 miliardi, afferisce alla cosiddetta rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • la terza, cui sono assegnati 25,13 miliardi, viene denominata infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • la quarta, per la quale sono previsti 30,88 miliardi, è destinata a istruzione e ricerca;
  • la quinta, sovvenzionata con 19,81 miliardi, prevede interventi finalizzati a inclusione e coesione;
  • la sesta, sovvenzionata con 15,63 miliardi, viene infine dedicata al tema della salute.

Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura

La prima missione viene immaginata attraverso tre linee di intervento: la digitalizzazione della pubblica amministrazione – dove obiettivo centrale è rappresentato dalla migrazione verso il cloud – il sostegno alla transizione digitale e alla competitività delle imprese – per il quale vengono stanziati ben 24,3 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (13,97) assorbiti dalle misure afferenti il piano “Transizione 4.0” e dallo sviluppo delle reti ultraveloci (6,31), con investimenti su banda ultra larga e 5G – e sul settore del turismo e della cultura – dove i 6,68 miliardi assegnati vengono oltremodo spalmati su una pluralità di iniziative.

Rivoluzione verde e transizione ecologica

Seguendo le indicazioni europee, la maggior parte delle risorse del PNRR viene assegnata alla transizione ecologica del Paese. In tale contesto una particolare attenzione viene dedicata al tema strategico della gestione dei rifiuti, con investimenti, previsti soprattutto nel Centro-Sud Italia, volti ad accrescere la capacità e la qualità degli impianti. Gli investimenti più corposi (23,78 miliardi), tuttavia, sono previsti sulle energie rinnovabili (fotovoltaico, biometano), sulla gestione “intelligente” delle reti di distribuzione energetica, sull’utilizzo dell’idrogeno (anche promuovendone la sperimentazione per il trasporto stradale e ferroviario) e sul trasporto sostenibile. Sono, infine, confermati eco bonus e sisma bonus (13,81 miliardi) mentre vengono previsti robusti investimenti sulla prevenzione del dissesto idrogeologico e sul miglioramento delle infrastrutture idriche.

Infrastrutture per una mobilità sostenibile

La quasi totalità (24,77 miliardi) delle risorse allocate sulla terza missione sono dedicate alla rete ferroviaria, dove vengono previsti investimenti sia sul trasporto merci che passeggeri, potenziando tanto le tratte ad alta velocità che i trasporti locali. In merito si tenterà di colmare il gap del nostro Paese rispetto alle migliori esperienze europee, sia al sud che al nord Italia, con l’obiettivo di ridurre i tempi di percorrenza e aumentare la capacità della rete ferroviaria in termini di flussi.

Istruzione e ricerca

Particolarmente rilevanti sono i temi toccati dalla quarta missione, che stanzia importanti risorse sugli asili nido (4,6 miliardi) e sull’edilizia scolastica (3,9 miliardi), dove il nostro Paese sconta rilevanti carenze strutturali. Ulteriori risorse (11,44 miliardi) vengono allocate sulla seconda componente della missione (ricerca di base e applicata), promuovendo lo sviluppo di sinergie tra imprese e università.

Inclusione e coesione

La quinta missione è rivolta al potenziamento delle politiche attive per il lavoro – delineando un programma nazionale di presa in carico e ricollocazione dei disoccupati, l’implementazione del piano “nuove competenze”, il rafforzamento dei centri per l’impiego e il sostegno all’imprenditoria femminile – alla promozione di progetti, dedicati ai comuni con più di 15mila abitanti, per la rigenerazione urbana e l’housing sociale e a specifici interventi per la coesione territoriale, tra i quali il rafforzamento delle zone economiche speciali.

Salute

L’ultima missione viene articolata in due componenti: il rafforzamento delle prestazioni erogate sul territorio – grazie allo sviluppo di reti di prossimità e strutture intermedie (case e ospedali “della comunità”) e all’utilizzo della telemedicina – e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale anche attraverso l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico.

Conclusioni

Pur se sommariamente esposta, la strategia del PNRR è evidentemente volta a colmare i principali deficit strutturali che penalizzano il nostro Paese. Tuttavia, per non rimanere un “libro dei sogni” saranno necessarie almeno due condizioni: in primo luogo il rispetto dei tempi e delle modalità di attuazione delle misure declinate, in secondo luogo, soprattutto, la capacità di comprendere che il PNRR, seppur supportato da risorse rilevanti, non sarà sufficiente a centrare gli obiettivi proposti se non inserito in un percorso di riforme a medio lungo termine che affronti i nodi irrisolti che ogni anno, puntualmente, ci vengono ricordati da studi e ricerche internazionali.

Andrea Dili
Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

Il contributo a fondo perduto del Decreto Sostegni

di Andrea Dili – Dottore Commercialista

Il primo decreto emergenziale del Governo Draghi, denominato “Sostegni”, si apre con un nuovo contributo a fondo perduto riconosciuto ai soggetti titolari di partita iva danneggiati dall’emergenza sanitaria COVID-19. Se sul piano tecnico la misura si pone in continuità con quelle, analoghe, varate nel corso del 2020 dal Governo Conte, sul piano sostanziale emergono importanti elementi di novità, primo tra tutti il significativo ampliamento della platea dei beneficiari.

I beneficiari

Il contributo viene universalmente riconosciuto ai titolari di reddito agrario e agli esercenti attività d’impresa o arti e professioni che nel secondo periodo d’imposta antecedente alla data del 23 marzo 2021 (ovvero nel 2019 per le persone fisiche e per i soggetti diversi dalle persone fisiche con esercizio coincidente con l’anno solare) hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro. Rispetto ai decreti di autunno, quindi, viene meno il requisito dello svolgimento di attività identificate in specifici codici ATECO. 

Sono, infine, inclusi nel novero dei beneficiari gli enti non commerciali, anche se soltanto in relazione allo svolgimento di attività commerciali, mentre ne sono espressamente esclusi gli enti pubblici, gli intermediari finanziari e le società di partecipazione.

I requisiti

L’accesso al contributo è condizionato al rispetto di due requisiti oggettivi:

  • essere titolari di una partita iva attiva alla data del 23 marzo 2021;
  • avere registrato nel 2020 un calo del fatturato medio mensile di almeno il 30% rispetto al 2019. 

Quest’ultimo requisito non è richiesto a coloro che hanno attivato la partita iva successivamente al 31 dicembre 2018. 

Il computo del contributo

Il procedimento di calcolo della somma spettante è piuttosto articolato: in estrema sintesi occorre applicare alla differenza tra il fatturato medio mensile del 2019 e quello del 2020 uno specifico coefficiente dimensionale, variabile dal 20% al 60% a seconda del volume dei ricavi realizzati, tenendo conto che l’ammontare del contributo non potrà essere inferiore a 1.000 o 2.000 euro (rispettivamente per le persone fisiche e per i soggetti diversi dalle persone fisiche) né superiore a 150.000 euro.

Ai fini del computo del fatturato medio mensile afferente il 2019, poi, rileva la data di inizio dell’attività, ovvero:

  • i titolari di partita iva attiva al 31 dicembre 2018 divideranno il fatturato complessivo realizzato nel 2019 per 12 mesi;
  • chi ha aperto la partita iva dal 1 gennaio al 30 novembre 2019 dovrà calcolare un quoziente, che vede al numeratore il fatturato realizzato dal primo giorno del mese successivo a quello di avvio dell’attività e al denominatore il numero dei corrispondenti mesi (ad esempio, se la partita iva è stata attivata in data 14 luglio 2019, dividendo il fatturato realizzato dal primo agosto al 31 dicembre 2019 per 5 mesi).

I soggetti che hanno avviato l’attività dal 1 dicembre 2019 al 23 marzo 2021, invece, non potendo determinare il fatturato medio mensile afferente il 2019, riceveranno il contributo minimo di 1.000 o 2.000 euro.

Il coefficiente dimensionale, infine, dovrà essere determinato in relazione al volume dei ricavi o compensi conseguiti nel secondo periodo d’imposta antecedente a quello in corso al 23 marzo 2021 (ovvero il 2019 per le persone fisiche e per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare), come indicato nella seguente tabella.

Una volta determinata la differenza tra fatturato medio mensile 2019 e 2020 e individuato il coefficiente dimensionale, si potrà procedere alla determinazione del contributo spettante, seguendo il procedimento mostrato nella seguente tabella.

Modalità di fruizione del contributo

Gli aventi diritto potranno usufruire del contributo scegliendo tra due diverse modalità:

  • accredito della somma sul conto corrente bancario;
  • “trasformazione” del contributo in credito d’imposta, da utilizzare in compensazione con altri tributi e contributi sul modello di pagamento F24.

La scelta dovrà essere fatta in sede di presentazione della domanda, esercitando la relativa opzione in calce all’istanza con cui si richiede il contributo.

Come richiedere il contributo

Come accennato, il contributo dovrà essere richiesto compilando l’apposita domanda e inviandola entro il 28 maggio 2021 attraverso i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate, seguendo le istruzioni, declinate dal Provvedimento n. 77923/2021 del 23 marzo 2021, disponibili sul sito internet della stessa Agenzia. 

https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/-/provvedimento-del-24-marzo-2021

Andrea Dili
Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

Coinvolgimento diretto dei lavoratori nel welfare aziendale | Estratto del Rapporto 2020

Circa la metà delle imprese intervistate nel Rapporto 2020 di Welfare Index PMI sono impegnate nel coinvolgimento diretto dei lavoratori nel welfare aziendale. L’orientamento all’ascolto caratterizza le imprese più attive in questo campo, tra le quali il 17,4% utilizza strumenti strutturati di rilevazione e analisi. Nell’articolo un approfondimento di come vengono rilevati i bisogni e i livelli di soddisfazione per le iniziative adottate nell’estratto del rapporto.

Il rapporto con i sindacati è molto differenziato in relazione alla dimensione delle aziende. La gran parte di esse, soprattutto tra le più piccole, non ricerca il coinvolgimento dei sindacati nell’adottare e gestire le politiche di welfare (FIGURA 32).

 

Più significativa è la ricerca di un coinvolgimento diretto dei lavoratori (FIGURA 33). Circa metà delle imprese sono impegnate in questa direzione utilizzando diversi strumenti: incontri collettivi, talvolta individuali, più raramente indagini.

Il 30,2% delle imprese g estiscono le politiche di welfare rilevando i bisogni dei lavoratori e i livelli di soddisfazione per le iniziative adottate (FIGURA 34). Ma nella maggior parte dei casi i sistemi di rilevazione sono informali e non sistematici. Metodi
più strutturati sono utilizzati dal 9,2% di imprese, e principalmente dalle più grandi. L’orientamento all’ascolto dei lavoratori caratterizza le imprese più attive nel welfare aziendale (con iniziative in almeno sei aree), tra le quali quelle che utilizzano sistemi strutturati di rilevazione e analisi raggiungono il 17,4%.

Leggi il Rapporto 2020 qui.

Fonti istitutive e modalità di attuazione del welfare aziendale | Estratto dal Rapporto 2020

Lo sviluppo del welfare aziendale è stato sostenuto in questi anni da una crescente articolazione delle sue fonti istitutive. Alla contrattazione nazionale, che ha storicamente creato gli istituti del welfare occupazionale collettivo, numerose aziende hanno affiancato accordi di secondo livello: contratti aziendali, interaziendali, territoriali. Oggi il welfare aziendale è un tema di negoziazione a entrambi i livelli, quello collettivo nazionale e quello aziendale e locale. Inoltre, accanto alle fonti negoziali, una spinta rilevante viene dall’iniziativa autonoma delle imprese. Se i contratti collettivi (CCNL) stanno progressivamente ampliando le garanzie di welfare, la diffusione effettiva dei servizi da questi istituiti resta tuttavia parziale.

Secondo i dati Covip, l’autorità di vigilanza della previdenza complementare, i fondi pensione chiusi hanno raggiunto a giugno 2020 una penetrazione del 26% sul bacino di potenziali aderenti. Considerando anche le altre tipologie di fondi previdenziali, collettivi e individuali, il tasso di copertura sale al 36% sul totale degli occupati.

Per quanto riguarda la sanità complementare, il tasso di copertura di casse, società di mutuo soccorso e dei fondi sanitari è circa del 35% (stime Innovation Team su dati ISTAT e Ministero della Salute). Una delle cause frenanti per questi istituti è la difficoltà di comunicazione e di coinvolgimento dei lavoratori, in un contesto di estrema frammentazione del sistema produttivo (FIGURA 21). Solo nel 31,2% delle imprese i lavoratori ricevono una comunicazione completa e sistematica sulle misure di welfare previste dai contratti nazionali. Nel 30,4% dei casi la comunicazione si limita all’informazione generica o parziale su alcuni servizi, mentre nel 38,4% è di fatto assente. Negli ultimi anni è molto cresciuta l’importanza dal welfare aziendale nella contrattazione integrativa: accordi aziendali, interaziendali e locali. Sono significativi a questo proposito i dati OCSEL (Osservatorio sulla Contrattazione di Secondo Livello) della CISL: il 36% degli accordi integrativi sottoscritti nel periodo 2017-18 hanno introdotto misure di welfare, con una crescita notevole sul biennio precedente (23%).

 

Il welfare si è affermato come la seconda materia più presente nella contrattazione di secondo livello, dopo il salario e prima di materie di grande importanza come l’orario, la gestione delle ristrutturazioni e delle crisi, i diritti sindacali e l’organizzazione del lavoro.

Com’è noto, la normativa del welfare aziendale equipara come fonti istitutive la negoziazione integrativa e i regolamenti aziendali (stabiliti autonomamente dalle imprese). La FIGURA 23 mostra la crescita complessiva di queste fonti, dal 22,8% del 2019 al 33,7% del 2020. Il contratto integrativo aziendale è alla base delle iniziative di welfare principalmente nelle imprese medio grandi (47,8%), mentre la media generale è del 7,6%. Molto simile (7,2%) è la quota degli accordi interaziendali e territoriali. Lo strumento più diffuso è il regolamento aziendale, utilizzato dal 20,6% delle imprese. I contratti integrativi e i regolamenti aziendali introducono o disciplinano servizi di welfare aziendale nel 41,9% dei casi e prevedono premi di risultato nel 48,2%.

Abbiamo definito un indice di proattività delle imprese, misurando quante hanno introdotto iniziative di welfare aggiuntive a quelle previste dai contratti collettivi nazionali, per effetto sia dei contratti integrativi e dei regolamenti aziendali sia dell’iniziativa unilaterale delle imprese stesse. Questo indice è cresciuto in misura significativa negli ultimi anni. Le aziende che attuano almeno una misura di welfare aggiuntiva a quelle previste dai CCNL erano il 58,3% nel 2017, sono cresciute al 66% nel biennio successivo e hanno raggiunto il 73,5% nel 2020.

La proattività aziendale si manifesta soprattutto in alcuni ambiti del welfare: è prevalente nelle aree della formazione, del sostegno economico ai dipendenti, della cultura e del tempo libero. Nelle aree della sanità, dell’assistenza e della previdenza complementare è invece fondamentale il ruolo degli istituti negoziali collettivi, e le iniziative aziendali assumono un carattere integrativo di arricchimento delle prestazioni. Nelle altre aree l’articolazione tra le diverse fonti istitutive è bilanciata. Il welfare aziendale si sviluppa dunque per effetto di una molteplicità di iniziative, in un quadro complesso di norme e di relazioni industriali.

Gli incentivi fiscali restano determinanti nell’incoraggiare l’iniziativa di welfare delle imprese, pur se la crescente proattività determina anche una maggiore disponibilità alla spesa. Le imprese che sostengono costi aggiuntivi rilevanti per il welfare aziendale sono il 9%, mentre per il 34,7% i costi sono sostenibili perché in buona parte compensati dai risparmi fiscali. Il numero complessivo di imprese che sostengono costi per il welfare aziendale è dunque del 43,7%, in graduale crescita. Tra le imprese molto attive questa quota raggiunge il 66,4%.

Uno degli scopi della normativa del welfare aziendale è di contribuire alla crescita dei premi di risultato, per favorire l’adozione di sistemi premianti capaci di migliorare la produttività delle imprese. La conoscenza, almeno generale, di queste norme e delle opportunità che offrono è in crescita, dal 53,8% del 2017 al 61,5% del 2020. Ma la conversione in welfare dei premi di risultato è tuttora poco diffusa: riguarda il 12,8% delle imprese (il 20,9% di quelle che ne sono a conoscenza), nella maggior parte dei casi per importi di modesta entità. Va però sottolineata l’apertura di interesse: se nel 2017 il 70,8% delle imprese a conoscenza di questo strumento dichiaravano di non avere intenzione di utilizzarlo in futuro, nel 2020 la loro quota è scesa al 42,5%.

La diffusione del welfare aziendale è stata facilitata dall’ampiezza delle prestazioni incentivate e dalla possibilità per i lavoratori di scegliere liberamente quali utilizzare. La normativa ha permesso l’adozione di sistemi di flexible benefit, supportati da piattaforme che gestiscono l’accesso alla gamma di servizi selezionati dall’azienda. La conoscenza e l’utilizzo dei flexible benefit, inizialmente limitati alle maggiori aziende, sono in crescita. L’indice di conoscenza era del 29,8% nel 2017, oggi è del 38,6%. Le imprese che ne fanno uso sono passate negli stessi anni dall’1% al 19,6% di quelle che ne sono a conoscenza, pari al 7,6% del totale delle imprese.

Leggi il Rapporto 2020 qui.

Bilanci 2020 e normativa emergenziale Covid-19

di Andrea Dili – Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

Nelle prossime settimane società di capitali e cooperative saranno alle prese con la chiusura dei bilanci dell’esercizio 2020, con stati patrimoniali generalmente appesantiti dalle perdite provocate dall’emergenza sanitaria COVID-19. In tale contesto, l’applicazione delle ordinarie regole di redazione del bilancio potrebbe condurre alla chiusura forzata di molte imprese, a causa della materiale impossibilità di rispettare i vincoli patrimoniali dettati dal diritto societario.

Al fine di scongiurare tale rischio il legislatore ha predisposto una serie di strumenti “eccezionali”, volti a consentire alle imprese la riduzione o il rinvio degli effetti “contabili” delle perdite maturate nel corso del 2020 a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. In particolare, la strategia messa in campo con i decreti emergenziali si è dispiegata in una duplice direzione:

  • da un lato derogando all’applicazione di alcune norme del diritto societario;
  • dall’altro introducendo la possibilità di avvalersi di interventi atti a migliorare i saldi dei bilanci 2020.

Per quanto riguarda le deroghe gli interventi più significativi riguardano il rinvio dell’entrata in vigore della riforma della crisi d’impresa e, soprattutto, il varo di una disciplina transitoria inerente i principi di redazione del bilancio e le cause di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale. In merito a quest’ultima fattispecie occorre osservare che l’articolo 6 del Decreto Liquidità (DL 23/2020) dispone che per l’esercizio in corso al 31 dicembre 2020 non trovano applicazione le norme che prevedono l’obbligo di riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società in caso di perdite significative (ovvero che incidono il capitale per oltre un terzo o che lo riducono al di sotto del minimo legale). In questi casi le società interessate avranno cinque anni di tempo per assorbire le perdite registrate nel 2020, utilizzando gli utili prodotti nei successivi esercizi o eventuali nuove sottoscrizioni di capitale da parte dei soci. Ai fini della relativa informativa occorrerà specificare in appositi prospetti della nota integrativa del bilancio l’origine e la movimentazione di tali perdite, fino a quando non saranno completamente riassorbite.

Il successivo articolo 7 dello stesso decreto contempla la possibilità di derogare al principio secondo cui il bilancio deve essere stilato nella prospettiva della continuazione dell’attività. Le società possono avvalersi di tale opzione soltanto se l’ultimo bilancio precedentemente approvato è stato redatto con il presupposto della continuità aziendale. In ogni caso, tuttavia, al fine di assicurare una corretta informazione nei confronti dei terzi, nella nota integrativa del bilancio dovranno essere illustrate le ragioni dell’utilizzo della deroga nonché della capacità dell’impresa di continuare a svolgere la propria attività nel prossimo futuro.

Per quanto invece attiene alle operazioni che possono incidere sui saldi del bilancio 2020 vanno evidenziate le opportunità delineate dal Decreto di Agosto (DL 104/2020), ovvero:

  • la sterilizzazione degli ammortamenti;
  • la rivalutazione dei beni d’impresa.

I commi da 7-bis a 7-quinquies dell’articolo 60 del decreto concedono, ai soggetti che non adottano i principi contabili internazionali, la facoltà di non imputare in bilancio una quota fino al 100% degli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e materiali di competenza dell’esercizio 2020 (esercizio in corso al 15 agosto 2020), a condizione di iscrivere una riserva indisponibile di pari valore nel patrimonio della società. In buona sostanza, quindi, le società interessate potranno ridurre o azzerare la quota di ammortamento relativa al 2020, migliorando il risultato economico dell’anno. In merito occorre osservare come, a seconda della tipologia del bene cui l’operazione è riferita, l’ammortamento sospeso dovrà essere recuperato secondo una duplice modalità:

  • nel caso in cui la vita utile del bene possa essere ragionevolmente allungata il piano di ammortamento slitterà di un anno;
  • nel caso in cui, invece, non sia possibile aggiornare la vita utile del bene (si pensi, ad esempio, al caso di una licenza con durata limitata) occorrerà spalmare la quota sospesa sugli anni residui.

 

Anche in questo caso si dovranno indicare le ragioni dell’esercizio dell’opzione nella nota integrativa, specificandone gli effetti patrimoniali, finanziari e sul risultato economico dell’esercizio. Sul piano fiscale, invece, le imprese interessate potranno godere della deduzione delle relative quote seguendo il piano di ammortamento originario (e, quindi, deducendo nel 2020 anche le quote sospese).

L’articolo 110 dello stesso decreto, infine, consente a società di capitali e cooperative che non adottano i principi contabili internazionali di rivalutare beni d’impresa e partecipazioni iscritti nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019. Sul piano contabile la rivalutazione, che potrà essere eseguita esclusivamente nel bilancio dell’esercizio successivo (ovvero quello in corso al 31 dicembre 2020), comporta l’iscrizione di una riserva di pari valore nel patrimonio netto.

L’impresa potrà eseguire tale rivalutazione distintamente su ciascun bene, ad un valore massimo coincidente con quello di mercato, secondo tre diverse metodologie:

  • rivalutazione del costo storico;
  • riduzione del fondo ammortamento;
  • rivalutazione del costo storico e del fondo ammortamento.

Sul piano tributario l’impresa interessata potrà optare sia per l’affrancamento, anche parziale, della rivalutazione mediante il versamento di una imposta sostitutiva del 10%, sia per il riconoscimento del maggior valore ai fini fiscali tramite il pagamento di una imposta sostitutiva del 3%.

Nel complesso, quindi, se il 2020 può essere considerato l’annus horribilis (anche) per il sistema economico del nostro Paese, verosimilmente le deroghe ai principi contabili messe in campo dalla legislazione emergenziale potranno alleviare gli effetti negativi della pandemia sui saldi di bilancio, anche se per valutarne la concreta efficacia presumibilmente occorrerà attendere il termine dell’emergenza sanitaria.

Andrea Dili
Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

 

Il welfare aziendale nel territorio: analisi per regioni

In questa sezione viene presentata una lettura analitica, per singola regione, delle principali dimensioni e caratteristiche del welfare aziendale. Per garantire la massima rappresentatività dei risultati, questa analisi è stata condotta sul campione aggregato delle imprese partecipanti a Welfare Index PMI nel 2019 e nel 2020, al netto delle duplicazioni: ciascuna impresa è cioè stata inclusa una sola volta considerandone i dati più recenti disponibili.

Il campione risultante è pari a 6.404 PMI, di cui 4.024 PMI partecipanti nel 2020 e 2.380 partecipanti nel 2019. I dati sono quindi stati espansi su base regionale per settore di appartenenza e classe dimensionale (numero di addetti) per rappresentare l’universo delle PMI nelle singole regioni. Le regioni più piccole – Valle d’Aosta, Molise e Basilicata – sono state aggregate rispettivamente a Piemonte, Abruzzo e Calabria. Poiché le analisi sono riferite ad un campione di PMI che aggrega due edizioni della ricerca, si segnala che le medie nazionali non coincidono con quelle presentate nelle altre sezioni di questo rapporto e si collocano nell’intervallo tra i dati del 2019 e del 2020.

Figura 97

 

Attività di welfare aziendale e tassi di iniziativa nelle dodici aree

In generale, le regioni del Nord Italia presentano livelli di attività più elevati rispetto a quelle del Centro e del Sud, per quanto emerga una certa variabilità tra i diversi territori. Se si considera quale indicatore la percentuale di aziende attive, ovvero con iniziative in almeno quattro delle dodici aree di welfare aziendale, i valori più elevati si registrano in Liguria, Trentino – Alto Adige, Veneto ed Emilia – Romagna; tra le regioni del Nord le differenze sono comunque piuttosto sfumate e tutte registrano una quota pari o superiore al 50%. Scendendo verso l’Italia centrale e meridionale i livelli di attività tendono a diminuire anche se in misura non eclatante, con dati prossimi al 50% in Lazio e Campania e valori invece più bassi della media nelle regioni adriatiche e nelle isole.

Dinamiche simili si registrano anche guardando alla percentuale delle aziende molto attive, con iniziative in almeno sei aree. Il Trentino Alto Adige si distingue (31,5%), ma tutte le regioni del Nord Italia superano la media nazionale. Al Centro e al Sud la variabilità è più accentuata, con dati prossimi alla media italiana in Umbria, Lazio e Campania e livelli di iniziativa più distanti soprattutto in Sicilia e Sardegna. La FIGURA 98 mostra invece i tassi di iniziativa delle PMI in ciascuna delle dodici aree di
welfare aziendale. In alcuni degli ambiti di welfare più tradizionali, quelli della previdenza integrativa, della sanità integrativa e delle polizze assicurative, le differenze tra le regioni del Nord e del Sud Italia, a vantaggio delle prime, si conferma rilevante. Particolarmente positivi, in queste stesse aree, i dati delle regioni del Nord-Est, ma anche della Liguria e della Lombardia (soprattutto nell’ambito sanitario).

Al contrario le imprese meridionali si distinguono nell’inclusione sociale e sostegno ai soggetti deboli e nelle iniziative di welfare allargate alla comunità esterna, ambiti nei quali superano spesso la media nazionale e le regioni del Centro e del Nord.

Su alcune altre aree le differenze territoriali sono invece più sfumate e tutte le regioni si collocano a ridosso della media nazionale: conciliazione vita-lavoro e sostegno ai genitori, formazione per i dipendenti, sicurezza e prevenzione degli incidenti.
Nelle aree del sostegno all’istruzione di figli e familiari e della cultura e tempo libero si evidenzia una maggiore diffusione al Nord, ma in nessuna regione la percentuale di aziende con iniziative nell’area supera la soglia del 10%.

Figura 98

Politiche aziendali di welfare e coinvolgimento dei lavoratori

A fronte di livelli di iniziativa in alcuni casi molto diversi, sia per ampiezza sia per specifici ambiti di intervento, le differenze territoriali si fanno meno pronunciate quando si analizzano le politiche e gli strumenti di gestione del welfare. La consapevolezza dell’importanza degli obiettivi sociali nella strategia di impresa non vede differenze sostanziali e si distribuisce uniformemente nel territorio. Se si guarda alle fonti istitutive del welfare, si rileva in primo luogo come il tasso di adesione ai CCNL sia molto simile e superiore al 95% in pressoché tutte le regioni. Meno omogenea invece la presenza di istituti contrattuali di secondo livello o di regolamenti, che registra i valori più elevati in Trentino – Alto Adige e Friuli – Venezia Giulia.

 

Figura 99

 

Il tasso di proattività delle imprese, misurato come percentuale di PMI che attuano almeno una iniziativa aggiuntiva a quelle previste dalla contrattazione collettiva nazionale, è superiore al 60% in tutte le regioni e in molti casi supera la soglia del 70%.
Il coinvolgimento dei sindacati nelle decisioni di welfare supera significativamente la media nazionale in Friuli – Venezia Giulia ed Emilia – Romagna, mentre scende in alcune regioni del Sud Italia. Poche differenze invece riguardo il coinvolgimento dei lavoratori, praticato da circa la metà delle PMI senza forti distinzioni tra le regioni.

Impatti del welfare aziendale e fattori di successo

Il gap di conoscenza delle norme e degli incentivi fiscali, che come si è visto costituisce una delle principali barriere allo sviluppo del welfare aziendale, è trasversale ai territori, pur con alcune differenze significative. In un quadro nel complesso non particolarmente brillante, la percentuale di aziende che riconosce di avere un livello di conoscenza abbastanza preciso e dettagliato supera il 30% in Friuli – Venezia Giulia, Umbria e Lombardia. Più critici i dati registrati tra le PMI del Sud Italia, al di sotto del 20% in tutte le regioni (Sardegna esclusa).

L’indicazione data dalle imprese sui lavoratori segue abbastanza da vicino la stessa dinamica, sia per quanto riguarda livello la conoscenza delle misure di welfare sia per quanto riguarda il gradimento: i dati sono migliori (per quanto non entusiasmanti) al Nord e scendono al di sotto della media nazionale al Centro e al Sud. Differenze più sfumate tra le regioni, infine, sull’impatto delle iniziative di welfare sui risultati aziendali: produttività del lavoro, fidelizzazione dei lavoratori, soddisfazione dei lavoratori e clima aziendale, immagine e reputazione.

Figura 100

 

Leggi il Rapporto 2020 qui.

 

Vicini anche se lontani con la Connecthub Experience

“In questo momento serve unità e senso di responsabilità: tutelare la salute dei nostri collaboratori e garantire il 100% della retribuzioni dei dipendenti è per noi oggi la priorità.”
– Jacopo Thun, CEO

 

Connecthub offre servizi di logistica e trasporti, servizi IT e servizi di consulenza in ambito supply chain, privilegiando l’utilizzo di tecnologie di movimentazione e trasporto che minimizzano l’impatto ambientale. Appartenendo alla filiera essenziale legata al food, durante il periodo di emergenza l’azienda non ha mai chiuso. La tutela della salute dell’intera popolazione aziendale che opera all’interno della sede di Mantova è stata messa al primo posto, mettendo in campo tutte le misure e le soluzioni organizzative disponibili. Le attività d’ufficio sono state spostate in Connecthub smart working già dalla prima settimana di marzo, una modalità ben conosciuta e usata: l’impresa infatti ha previsto fin dal 2015 un giorno di lavoro da remoto alla settimana, con un limite di 4 al mese.

Durante il periodo di distanziamento sociale imposto dal lockdown, l’azienda ha incrementato l’offerta di welfare aziendale implementando una piattaforma di formazione, chiamata ConnectHub Experience, già esistente e particolarmente apprezzata poiché ha offerto un momento di vicinanza tra le persone grazie alle opportunità di formazione, sia tecniche che trasversali, con la peculiarità che tutti i corsi proposti sono tenuti da persone che lavorano all’interno dell’azienda in base alle loro competenze.

I corsi, che in particolare durante l’emergenza hanno ottenuto una buona partecipazione, spaziano dall’uso di Excel o Linkedin alla letteratura, dai corsi base di chitarra a visite virtuali in città d’arte e musei, da lezioni di yoga e fitness alle nozioni di cucina regionale. Inoltre, è stata introdotta una plenaria settimanale durante la quale il CEO aggiorna i dipendenti sulla situazione in azienda che ha riscosso molto coinvolgimento rafforzando il rapporto della direzione con i dipendenti.

ConnectHub si è impegnata per evitare che l’eventuale accesso agli ammortizzatori sociali potesse avere un impatto negativo sul reddito da lavoro dipendente, istituendo un fondo che ha permesso la cassa integrazione con garanzia del 100% della retribuzione.

Leggi il Rapporto 2020 qui.

Gli sgravi contributivi della Legge di Bilancio 2021

di Andrea Dili – Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

La legge di bilancio 2021 (legge n. 178/2020) contiene una pluralità di misure finalizzate a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro dipendente attraverso il taglio dei contributi previdenziali.

Si tratta, in particolare, di tre tipologie di interventi, rivolti specificamente:

  • ai giovani;
  • alle donne;
  • ai lavoratori dipendenti con sede di lavoro ubicata nel Sud Italia.

Il bonus assunzione giovani

Per quanto riguarda i giovani viene previsto un esonero contributivo a valere sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato o sulle trasformazioni di contratti a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato afferenti lavoratori che non hanno compiuto il 36esimo anno di età.

Il bonus, applicabile alle assunzioni e alle trasformazioni effettuate tra il primo gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022, si sostanzia nell’esonero del versamento del 100% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel limite di 6mila euro annui e per un periodo massimo di 36 mesi (elevabile a 48 mesi nel caso in cui l’unità produttiva interessata sia ubicata in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia).

Per poter beneficiare del bonus assunzione giovani i datori di lavoro dovranno rispettare la condizione di non aver effettuato nei sei mesi precedenti e di non effettuare nei nove mesi successivi, rispetto alla data di attivazione dei nuovi rapporti, né licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo né licenziamenti collettivi di lavoratori impiegati, con la medesima qualifica, nella stessa unità produttiva.

Il bonus assunzione donne

Il medesimo modello, riprendendo la legge Fornero, viene applicato ai rapporti di lavoro femminile attivati negli anni 2021 e 2022. I datori di lavoro, infatti, possono beneficiare di un taglio dei contributi previdenziali del 100%, nel limite di 6mila euro annui, sulle nuove assunzioni e sulle trasformazioni di contratti a tempo determinato in tempo indeterminato effettuate nei confronti di:

  • donne con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi;
  • lavoratrici occupate in professioni o settori caratterizzati da un elevato (maggiore del 25% rispetto alla media) tasso di disparità uomo-donna, individuati dal Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze n. 234 del 23 ottobre 2020;
  • donne di ogni età prive di impiego retribuito, da almeno sei mesi se residenti in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia, ovvero da almeno 24 mesi se residenti in altre regioni.

La durata del beneficio è variabile a seconda della tipologia di assunzione, ovvero:

  • 12 mesi se a tempo determinato (in tal caso, inoltre, il taglio dei contributi rimane al 50%);
  • 18 mesi se a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni).

Condizione necessaria per accedere alla decontribuzione è che l’assunzione determini un incremento occupazionale netto, individuato nella differenza tra il numero dei dipendenti occupati in ciascun mese rispetto alla media dei dodici mesi precedenti. 

La decontribuzione SUD

Se le agevolazioni previste per giovani e donne maturano soltanto sulle nuove assunzioni (e sulle trasformazioni in rapporti a tempo indeterminato), la decontribuzione Sud può essere annoverata tra le cosiddette misure “a pioggia”, tant’è che il beneficio spetta incondizionatamente tanto sui rapporti di lavoro dipendente in essere che sulle nuove attivazioni. In buona sostanza – riprendendo la disposizione introdotta dal decreto emergenziale di agosto (DL 104/2020) – la legge di bilancio estende fino al 2029 il taglio dei contributi previdenziali su tutti i rapporti di lavoro dipendente, esclusi quelli domestici o afferenti al settore agricolo, attivi su sedi ubicate in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Per determinare l’ammontare dell’esonero contributivo spettante occorre fare riferimento al seguente schema:

  • il 30% dei contributi previdenziali complessivi fino al 31 dicembre 2025;
  • il 20% per gli anni 2026 e 2027;
  • il 10%, infine, per il biennio 2028/2029.

A ben vedere, quindi, si tratta di una agevolazione di ampiezza assai rilevante, come dimostra il volume della provvista finanziaria stanziata dalla legge di bilancio: quasi 41 miliardi di euro in un arco temporale di dieci anni, a fronte dei 340 e 126 milioni di euro impegnati rispettivamente sul bonus assunzione giovani e sul bonus assunzione donne.

Va precisato, infine, che l’efficacia delle summenzionate disposizioni è subordinata all’autorizzazione della Commissione Europea, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa sugli aiuti di Stato.