Il welfare aziendale nel territorio: analisi per regioni

In questa sezione viene presentata una lettura analitica, per singola regione, delle principali dimensioni e caratteristiche del welfare aziendale. Per garantire la massima rappresentatività dei risultati, questa analisi è stata condotta sul campione aggregato delle imprese partecipanti a Welfare Index PMI nel 2019 e nel 2020, al netto delle duplicazioni: ciascuna impresa è cioè stata inclusa una sola volta considerandone i dati più recenti disponibili.

Il campione risultante è pari a 6.404 PMI, di cui 4.024 PMI partecipanti nel 2020 e 2.380 partecipanti nel 2019. I dati sono quindi stati espansi su base regionale per settore di appartenenza e classe dimensionale (numero di addetti) per rappresentare l’universo delle PMI nelle singole regioni. Le regioni più piccole – Valle d’Aosta, Molise e Basilicata – sono state aggregate rispettivamente a Piemonte, Abruzzo e Calabria. Poiché le analisi sono riferite ad un campione di PMI che aggrega due edizioni della ricerca, si segnala che le medie nazionali non coincidono con quelle presentate nelle altre sezioni di questo rapporto e si collocano nell’intervallo tra i dati del 2019 e del 2020.

Figura 97

 

Attività di welfare aziendale e tassi di iniziativa nelle dodici aree

In generale, le regioni del Nord Italia presentano livelli di attività più elevati rispetto a quelle del Centro e del Sud, per quanto emerga una certa variabilità tra i diversi territori. Se si considera quale indicatore la percentuale di aziende attive, ovvero con iniziative in almeno quattro delle dodici aree di welfare aziendale, i valori più elevati si registrano in Liguria, Trentino – Alto Adige, Veneto ed Emilia – Romagna; tra le regioni del Nord le differenze sono comunque piuttosto sfumate e tutte registrano una quota pari o superiore al 50%. Scendendo verso l’Italia centrale e meridionale i livelli di attività tendono a diminuire anche se in misura non eclatante, con dati prossimi al 50% in Lazio e Campania e valori invece più bassi della media nelle regioni adriatiche e nelle isole.

Dinamiche simili si registrano anche guardando alla percentuale delle aziende molto attive, con iniziative in almeno sei aree. Il Trentino Alto Adige si distingue (31,5%), ma tutte le regioni del Nord Italia superano la media nazionale. Al Centro e al Sud la variabilità è più accentuata, con dati prossimi alla media italiana in Umbria, Lazio e Campania e livelli di iniziativa più distanti soprattutto in Sicilia e Sardegna. La FIGURA 98 mostra invece i tassi di iniziativa delle PMI in ciascuna delle dodici aree di
welfare aziendale. In alcuni degli ambiti di welfare più tradizionali, quelli della previdenza integrativa, della sanità integrativa e delle polizze assicurative, le differenze tra le regioni del Nord e del Sud Italia, a vantaggio delle prime, si conferma rilevante. Particolarmente positivi, in queste stesse aree, i dati delle regioni del Nord-Est, ma anche della Liguria e della Lombardia (soprattutto nell’ambito sanitario).

Al contrario le imprese meridionali si distinguono nell’inclusione sociale e sostegno ai soggetti deboli e nelle iniziative di welfare allargate alla comunità esterna, ambiti nei quali superano spesso la media nazionale e le regioni del Centro e del Nord.

Su alcune altre aree le differenze territoriali sono invece più sfumate e tutte le regioni si collocano a ridosso della media nazionale: conciliazione vita-lavoro e sostegno ai genitori, formazione per i dipendenti, sicurezza e prevenzione degli incidenti.
Nelle aree del sostegno all’istruzione di figli e familiari e della cultura e tempo libero si evidenzia una maggiore diffusione al Nord, ma in nessuna regione la percentuale di aziende con iniziative nell’area supera la soglia del 10%.

Figura 98

Politiche aziendali di welfare e coinvolgimento dei lavoratori

A fronte di livelli di iniziativa in alcuni casi molto diversi, sia per ampiezza sia per specifici ambiti di intervento, le differenze territoriali si fanno meno pronunciate quando si analizzano le politiche e gli strumenti di gestione del welfare. La consapevolezza dell’importanza degli obiettivi sociali nella strategia di impresa non vede differenze sostanziali e si distribuisce uniformemente nel territorio. Se si guarda alle fonti istitutive del welfare, si rileva in primo luogo come il tasso di adesione ai CCNL sia molto simile e superiore al 95% in pressoché tutte le regioni. Meno omogenea invece la presenza di istituti contrattuali di secondo livello o di regolamenti, che registra i valori più elevati in Trentino – Alto Adige e Friuli – Venezia Giulia.

 

Figura 99

 

Il tasso di proattività delle imprese, misurato come percentuale di PMI che attuano almeno una iniziativa aggiuntiva a quelle previste dalla contrattazione collettiva nazionale, è superiore al 60% in tutte le regioni e in molti casi supera la soglia del 70%.
Il coinvolgimento dei sindacati nelle decisioni di welfare supera significativamente la media nazionale in Friuli – Venezia Giulia ed Emilia – Romagna, mentre scende in alcune regioni del Sud Italia. Poche differenze invece riguardo il coinvolgimento dei lavoratori, praticato da circa la metà delle PMI senza forti distinzioni tra le regioni.

Impatti del welfare aziendale e fattori di successo

Il gap di conoscenza delle norme e degli incentivi fiscali, che come si è visto costituisce una delle principali barriere allo sviluppo del welfare aziendale, è trasversale ai territori, pur con alcune differenze significative. In un quadro nel complesso non particolarmente brillante, la percentuale di aziende che riconosce di avere un livello di conoscenza abbastanza preciso e dettagliato supera il 30% in Friuli – Venezia Giulia, Umbria e Lombardia. Più critici i dati registrati tra le PMI del Sud Italia, al di sotto del 20% in tutte le regioni (Sardegna esclusa).

L’indicazione data dalle imprese sui lavoratori segue abbastanza da vicino la stessa dinamica, sia per quanto riguarda livello la conoscenza delle misure di welfare sia per quanto riguarda il gradimento: i dati sono migliori (per quanto non entusiasmanti) al Nord e scendono al di sotto della media nazionale al Centro e al Sud. Differenze più sfumate tra le regioni, infine, sull’impatto delle iniziative di welfare sui risultati aziendali: produttività del lavoro, fidelizzazione dei lavoratori, soddisfazione dei lavoratori e clima aziendale, immagine e reputazione.

Figura 100

 

Leggi il Rapporto 2020 qui.

 

Vicini anche se lontani con la Connecthub Experience

“In questo momento serve unità e senso di responsabilità: tutelare la salute dei nostri collaboratori e garantire il 100% della retribuzioni dei dipendenti è per noi oggi la priorità.”
– Jacopo Thun, CEO

 

Connecthub offre servizi di logistica e trasporti, servizi IT e servizi di consulenza in ambito supply chain, privilegiando l’utilizzo di tecnologie di movimentazione e trasporto che minimizzano l’impatto ambientale. Appartenendo alla filiera essenziale legata al food, durante il periodo di emergenza l’azienda non ha mai chiuso. La tutela della salute dell’intera popolazione aziendale che opera all’interno della sede di Mantova è stata messa al primo posto, mettendo in campo tutte le misure e le soluzioni organizzative disponibili. Le attività d’ufficio sono state spostate in Connecthub smart working già dalla prima settimana di marzo, una modalità ben conosciuta e usata: l’impresa infatti ha previsto fin dal 2015 un giorno di lavoro da remoto alla settimana, con un limite di 4 al mese.

Durante il periodo di distanziamento sociale imposto dal lockdown, l’azienda ha incrementato l’offerta di welfare aziendale implementando una piattaforma di formazione, chiamata ConnectHub Experience, già esistente e particolarmente apprezzata poiché ha offerto un momento di vicinanza tra le persone grazie alle opportunità di formazione, sia tecniche che trasversali, con la peculiarità che tutti i corsi proposti sono tenuti da persone che lavorano all’interno dell’azienda in base alle loro competenze.

I corsi, che in particolare durante l’emergenza hanno ottenuto una buona partecipazione, spaziano dall’uso di Excel o Linkedin alla letteratura, dai corsi base di chitarra a visite virtuali in città d’arte e musei, da lezioni di yoga e fitness alle nozioni di cucina regionale. Inoltre, è stata introdotta una plenaria settimanale durante la quale il CEO aggiorna i dipendenti sulla situazione in azienda che ha riscosso molto coinvolgimento rafforzando il rapporto della direzione con i dipendenti.

ConnectHub si è impegnata per evitare che l’eventuale accesso agli ammortizzatori sociali potesse avere un impatto negativo sul reddito da lavoro dipendente, istituendo un fondo che ha permesso la cassa integrazione con garanzia del 100% della retribuzione.

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Gli sgravi contributivi della Legge di Bilancio 2021

di Andrea Dili – Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

La legge di bilancio 2021 (legge n. 178/2020) contiene una pluralità di misure finalizzate a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro dipendente attraverso il taglio dei contributi previdenziali.

Si tratta, in particolare, di tre tipologie di interventi, rivolti specificamente:

  • ai giovani;
  • alle donne;
  • ai lavoratori dipendenti con sede di lavoro ubicata nel Sud Italia.

Il bonus assunzione giovani

Per quanto riguarda i giovani viene previsto un esonero contributivo a valere sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato o sulle trasformazioni di contratti a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato afferenti lavoratori che non hanno compiuto il 36esimo anno di età.

Il bonus, applicabile alle assunzioni e alle trasformazioni effettuate tra il primo gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022, si sostanzia nell’esonero del versamento del 100% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel limite di 6mila euro annui e per un periodo massimo di 36 mesi (elevabile a 48 mesi nel caso in cui l’unità produttiva interessata sia ubicata in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia).

Per poter beneficiare del bonus assunzione giovani i datori di lavoro dovranno rispettare la condizione di non aver effettuato nei sei mesi precedenti e di non effettuare nei nove mesi successivi, rispetto alla data di attivazione dei nuovi rapporti, né licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo né licenziamenti collettivi di lavoratori impiegati, con la medesima qualifica, nella stessa unità produttiva.

Il bonus assunzione donne

Il medesimo modello, riprendendo la legge Fornero, viene applicato ai rapporti di lavoro femminile attivati negli anni 2021 e 2022. I datori di lavoro, infatti, possono beneficiare di un taglio dei contributi previdenziali del 100%, nel limite di 6mila euro annui, sulle nuove assunzioni e sulle trasformazioni di contratti a tempo determinato in tempo indeterminato effettuate nei confronti di:

  • donne con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi;
  • lavoratrici occupate in professioni o settori caratterizzati da un elevato (maggiore del 25% rispetto alla media) tasso di disparità uomo-donna, individuati dal Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze n. 234 del 23 ottobre 2020;
  • donne di ogni età prive di impiego retribuito, da almeno sei mesi se residenti in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia, ovvero da almeno 24 mesi se residenti in altre regioni.

La durata del beneficio è variabile a seconda della tipologia di assunzione, ovvero:

  • 12 mesi se a tempo determinato (in tal caso, inoltre, il taglio dei contributi rimane al 50%);
  • 18 mesi se a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni).

Condizione necessaria per accedere alla decontribuzione è che l’assunzione determini un incremento occupazionale netto, individuato nella differenza tra il numero dei dipendenti occupati in ciascun mese rispetto alla media dei dodici mesi precedenti. 

La decontribuzione SUD

Se le agevolazioni previste per giovani e donne maturano soltanto sulle nuove assunzioni (e sulle trasformazioni in rapporti a tempo indeterminato), la decontribuzione Sud può essere annoverata tra le cosiddette misure “a pioggia”, tant’è che il beneficio spetta incondizionatamente tanto sui rapporti di lavoro dipendente in essere che sulle nuove attivazioni. In buona sostanza – riprendendo la disposizione introdotta dal decreto emergenziale di agosto (DL 104/2020) – la legge di bilancio estende fino al 2029 il taglio dei contributi previdenziali su tutti i rapporti di lavoro dipendente, esclusi quelli domestici o afferenti al settore agricolo, attivi su sedi ubicate in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Per determinare l’ammontare dell’esonero contributivo spettante occorre fare riferimento al seguente schema:

  • il 30% dei contributi previdenziali complessivi fino al 31 dicembre 2025;
  • il 20% per gli anni 2026 e 2027;
  • il 10%, infine, per il biennio 2028/2029.

A ben vedere, quindi, si tratta di una agevolazione di ampiezza assai rilevante, come dimostra il volume della provvista finanziaria stanziata dalla legge di bilancio: quasi 41 miliardi di euro in un arco temporale di dieci anni, a fronte dei 340 e 126 milioni di euro impegnati rispettivamente sul bonus assunzione giovani e sul bonus assunzione donne.

Va precisato, infine, che l’efficacia delle summenzionate disposizioni è subordinata all’autorizzazione della Commissione Europea, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa sugli aiuti di Stato.

Estratto del Rapporto 2020 | Focus sull’agricoltura sociale

Fin dalla sua prima edizione nel 2016 Welfare Index PMI dedica una sezione speciale all’agricoltura sociale. Si tratta di un ambito di particolare interesse per il welfare aziendale, nonché un terreno di innovazione per le politiche e le pratiche di coinvolgimento dei lavoratori. Attraverso l’attività agricola, cui si associano una pluralità di iniziative specifiche, le organizzazioni dell’agricoltura sociale favoriscono l’inclusione lavorativa e il benessere fisico, psicologico e sociale delle persone, in primis quelle svantaggiate.

L’edizione 2020 dell’indagine, condotta con il supporto di Rete Fattorie Sociali e con la somministrazione di un questionario ad hoc, ha visto la partecipazione di 46 organizzazioni. Gli ambiti di intervento dell’agricoltura sociale sono quattro (FIGURA 81):

inserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate (in situazione di fragilità): riguarda il 78,7% delle organizzazioni partecipanti all’indagine;
attività educative e ludico-ricreative (61,7%): sono incluse iniziative diverse, che spaziano dall’educazione educazione ambientale alle fattorie sociali e didattiche fino alla salvaguardia della biodiversità;
area socio-assistenziale (61,7%): si tratta di servizi e prestazioni sociali per le comunità locali che hanno come obiettivo la promozione dello sviluppo di abilità e di inclusione sociale;
area socio-sanitaria (36,2%): comprende prestazioni a supporto delle terapie mediche, psicologiche e riabilitative atte a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati.

Figura 81

Le organizzazioni dell’agricoltura sociale sono spesso in grado di presidiare più aree di attività allo stesso tempo: il 17% tutte e quattro le aree, il 36,2% tre, il 17% due. Solo il 29,9% dei soggetti intervistati sono specializzati in un solo ambito.

Tra le attività caratteristiche dell’agricoltura sociale, i servizi diurni per persone in situazione di fragilità sono le più praticate: dall’83,0% delle strutture. 63,8% sono attive nella formazione, 57,4% hanno creato una fattoria didattica. Circa la metà delle organizzazioni offrono servizi di supporto ai processi riabilitativi tramite la coterapia, 46,8% si occupano di educazione ambientale e una percentuale analoga organizza centri estivi. Tra le altre attività si possono citare il turismo agricolo-sociale, l’accoglienza residenziale per persone svantaggiate, i servizi per l’infanzia come agrinido e agriasilo.

La domanda che si rivolge all’agricoltura sociale è molteplice e spesso le organizzazioni offrono i propri servizi a una pluralità di soggetti (FIGURA 83): il 38,2% a sei o più categorie, il 68,4% a più di tre. Le categorie più presenti sono le persone con disabilità mentale (83,0%) e fisica (63,8%), i minori in situazione di disagio (55,3%), gli immigrati e i rifugiati (53,2%), i tossicodipendenti o ex tossicodipendenti (44,7%); inoltre nel 42,6% dei casi l’agricoltura sociale offre opportunità di inserimento a disoccupati di lungo corso.

Figura 83

L’agricoltura sociale svolge storicamente anche un ruolo attivo sul territorio, creando reti con altri soggetti pubblici e privati e supportando iniziative rivolte all’intera comunità: in particolare l’80,9% organizzano o partecipano all’organizzazione di eventi ricreativi e culturali e il 34% offrono supporto a iniziative di volontariato (FIGURA 84).

Figura 84

Leggi il Rapporto 2020 qui.

Per le imprese un nuovo contributo a fondo perduto

di Andrea Dili – Dottore Commercialista, esperto di Welfare Index PMI

Il quadro delle misure economiche finalizzate a limitare gli effetti della pandemia COVID-19 è stato significativamente aggiornato dai quattro decreti “Ristori” varati tra il 27 ottobre e il 30 novembre 2020.

Il nuovo pacchetto di strumenti di sostegno alle imprese prevede una pluralità di interventi, tra i quali assumono particolare rilievo: l’estensione del credito d’imposta sui canoni di locazione degli immobili e di affitto d’azienda, la cancellazione della seconda rata dell’IMU, il differimento dei versamenti delle imposte e dei contributi previdenziali in scadenza a dicembre e, infine, l’attribuzione di un contributo a fondo perduto analogo a quello previsto dal decreto “Rilancio” dello scorso maggio.

Proprio quest’ultima misura, considerando le novità rispetto al precedente di maggio, merita uno specifico approfondimento, focalizzato sulla definizione dei requisiti per l’accesso, delle modalità di calcolo e della procedura per l’incasso.

La platea dei beneficiari

La platea dei beneficiari viene individuata in coloro (persone fisiche e soggetti diversi dalle persone fisiche) che, essendo titolari di una partita iva attiva alla data del 25 ottobre 2020, esercitano in via prevalente le attività direttamente colpite dalle restrizioni fissate dal DPCM dello scorso 3 novembre. In particolare, il contributo è esigibile:

Il requisito del calo del fatturato

Il contributo è assegnato soltanto agli operatori economici che dimostrino di aver subito danni rilevanti a causa dell’emergenza COVID-19: tale condizione si verifica per le imprese che ad aprile 2020 hanno realizzato un fatturato inferiore ai due terzi di quello conseguito nello stesso mese del 2019. Il soddisfacimento del requisito, ovviamente, non è richiesto a chi ha iniziato l’attività a far data dal primo gennaio 2019: tali soggetti, infatti, ricevono il contributo indipendentemente dal valore del fatturato acquisito.

L’ammontare del contributo

Il calcolo dell’ammontare del contributo richiede un procedimento piuttosto articolato, basato sulla determinazione delle seguenti variabili:

a) la differenza tra il fatturato di aprile 2019 e quello di aprile 2020;

b) un coefficiente dimensionale, individuato in una percentuale variabile a seconda del volume dei ricavi realizzati nell’esercizio in corso al 19 maggio 2019, ovvero:

        • 20% se essi non superano 400mila euro;
        • 15% se oltrepassano 400mila euro ma non 1 milione di euro;
        • 10% se sono maggiori di 1 milione di euro;

c) un coefficiente settoriale, determinato applicando le percentuali – variabili tra il 50% e il 400% – assegnate ai codici Ateco individuati nei summenzionati allegati.

L’ammontare del contributo cui si ha diritto viene determinato moltiplicando il valore di cui alla lettera a) per le percentuali di cui alle lettere b) e c).

Infine, va tenuto conto del massimale e dei minimali fissati dalla legge: se il contributo assegnato non può superare il valore di 150mila euro, viene previsto che in ogni caso alle persone fisiche spetti un ammontare minimo di mille euro e ai soggetti diversi dalle persone fisiche di 2mila euro. Questi ultimi valori saranno “rivalutati” applicando lo specifico coefficiente settoriale con le modalità sopra descritte.

Come richiedere il contributo

Coloro che hanno incassato il contributo a fondo perduto previsto dal decreto Rilancio di maggio riceveranno il nuovo ammontare direttamente sul proprio conto corrente, senza bisogno di richiederlo.

I soggetti che, invece, non hanno percepito il fondo perduto di maggio dovranno presentare una apposita istanza attraverso i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate, che, una volta ricevuta la domanda, provvederà a liquidare il contributo sul conto corrente del beneficiario.

Qui sotto la tabella che spiega come calcolare il contributo.

Su Whatsapp i videomessaggi del Presidente e CEO

“Riteniamo che uno dei presupposti fondamentali per una positiva ripartenza sia l’engagement del personale, la sua centralità nelle strategie aziendali.”

– Andrea del Rizzo, HR Director

Brovedani Group ha seguito fin dagli albori l’evoluzione della pandemia, attraverso delle relazioni di business che il Gruppo detiene con partner internazionali che hanno stabilimenti in Asia. Chiusa durante il lockdown, poiché il codice Ateco non figurava tra gli essenziali, l’azienda ha dovuto richiedere la Cassa Integrazione, e ne ha anticipato l’erogazione. Nonostante le difficoltà del momento, è stato distribuito sia l’importo welfare previsto dal CCNL sia l’importo a titolo di Premio di Risultato sotto forma di Welfare. Durante l’emergenza è stato attivato un indirizzo mail per inviare messaggi alla Direzione e creato un gruppo Whatsapp con tutti i dipendenti, all’interno del quale il Presidente e CEO ha potuto inviare videomessaggi sull’andamento della pandemia e sulle attività che l’Azienda si accingeva a porre in essere. Nondimeno, tutto l’ufficio HR si è reso disponibile ad effettuare call di supporto psicologico ai dipendenti che ne facessero richiesta.

In due mesi sono stati registrati circa 350 contatti su Whatsapp e altrettante telefonate tra i dipendenti e l’ufficio HR. Sviluppati anche eventi formativi quotidiani online, con docenti interni, su varie tematiche, per un totale di oltre 42.000 ore di formazione. Le persone parlavano di una componente del proprio lavoro o comunque di un ambito di cui sono esperti, ed è servito anche e soprattutto a rafforzare il legame tra colleghi durante il lockdown. In questo periodo Brovedani sta approfondendo le analisi per sviluppare percorsi strutturali di smart working, che presumono un deciso cambiamento anche nelle modalità di gestione del personale oltre che dei flussi operativi. Lo smart working infatti può portare ad importanti incrementi di produttività ed a sensibili miglioramenti del clima aziendale, se gestito correttamente anche dal punto di vista culturale e allineato ad un nuovo modo di lavorare di molti colleghi.

Leggi il Rapporto 2020 qui.

Estratto del Rapporto 2020 | Giovani, formazione, mobilità sociale

Il 45% delle imprese hanno avviato iniziative di formazione e di sostegno alla mobilità delle giovani generazioni. La percentuale è stabile rispetto al 2019 ma nei cinque anni quest’area ha visto una forte accelerazione (FIGURA 74). È un’area destinata a crescere e a caratterizzare le politiche aziendali: il 60,3% delle aziende dichiarano di considerarla una priorità nella crescita futura del welfare aziendale, e nel 2020 l’11,2% delle PMI hanno lanciato nuove iniziative o potenziato quelle esistenti. Le iniziative sono raggruppabili in tre ambiti:

• formazione specialistica professionale;
• formazione extra professionale;
• sostegno all’istruzione di figli e familiari.

Figura 74

La formazione professionale è l’attività più diffusa, praticata dal 39% delle PMI, in continua crescita dal 2016 (32,2%). Si tratta dei soli corsi attuati dalle imprese per scelta autonoma, senza obblighi di legge o contrattuali. L’iniziativa prevalente è la formazione professionale specialistica avanzata, attuata dal 34,3% delle PMI. Seguono l’offerta di partecipazione a convegni e giornate studio, praticata dal 21,4%, e infine, meno diffusa, la formazione linguistica, offerta dal 6,4% (FIGURA 75).

Figura 75

La formazione extra-professionale è di grande importanza, perché rafforza il background culturale dei lavoratori e ne agevola la mobilità professionale e sociale, tuttavia resta poco diffusa e vede una crescita lenta ma costante: il tasso di attività è aumentato dal 2,8% nel 2016 al 4,9% nel 2020 (FIGURA 76).

Figura 76

Le iniziative attuate sono:
• corsi e attività formative di vario genere, dalla musica al teatro alla cultura in senso lato (1,5%);
• master e business school (1,9%);
• borse di studio per i dipendenti (1,3%);
• viaggi di studio all’estero (1%).

Per molte imprese l’emergenza sanitaria è stata l’occasione per sviluppare la formazione a distanza, sia professionale sia extraprofessionale. Sono state attivate piattaforme e attuati webinar con docenti esterni. In molti casi sono stati utilizzati nella didattica dipendenti esperti e con competenze riconosciute. In altri casi sono stati offerti corsi legati al tempo libero, che spaziano dall’uso dei social media alla letteratura, da lezioni di musica a visite virtuali in città d’arte e musei, da corsi di yoga e fitness alla cucina regionale. Le storie aziendali presentate alla fine di questo rapporto illustrano una ricchezza di iniziative che hanno favorito la crescita dei lavoratori, sviluppando tanto le competenze tecniche quanto le soft skills, e generando vicinanza in un momento di particolare rischio di isolamento. Il terzo ambito di intervento, il sostegno all’istruzione di figli e familiari, è in fase iniziale ma cresce in modo rilevante. Il tasso di iniziativa è aumentato nei cinque anni dall’1% del 2016 all’attuale 5,8% (FIGURA 77).

Figura 77

Ne fanno parte i rimborsi delle spese sostenute dalle famiglie per l’istruzione dei figli, tra cui:
• rette di iscrizione per asilo nido e scuola materna (2%), per la scuola primaria e secondaria (2,5%), per studi universitari e master (2,1%);
• libri di testo e materiali didattici (2,8%, in forte crescita);
• servizi accessori come mense e trasporto (1,5%);
• viaggi di studio (1,1%).

Accanto ai rimborsi sono presenti, seppure in misura limitata, servizi di orientamento scolastico o professionale (1% delle aziende) e riconoscimenti al merito scolastico con borse di studio offerte dalle imprese ai figli dei lavoratori (1,1%). Anche in quest’ambito durante la crisi sanitaria le imprese hanno attuato iniziative straordinarie di supporto alle famiglie dei dipendenti, fornendo attrezzatura per la didattica a distanza (PC, tablet, connessione a internet, accesso a stampanti o scanner), convenzioni per l’acquisto di strumenti tecnici, e organizzando iniziative di coinvolgimento telematico dei più piccoli. Concludiamo questa sezione con alcuni dati che sottolineano la centralità dei problemi dell’educazione e della mobilità sociale per la crescita del Paese. In Italia nel 2019 i diplomati nella fascia da 25 a 64 anni sono il 62,2% della popolazione, una quota molto inferiore al livello medio europeo (78,7%) e dei paesi maggiori (FIGURA 78).

Figura 78

Il divario nel tasso di occupazione dei giovani a tre anni dal conseguimento del titolo di studio è enorme: 58,7% in Italia, 81,5% la media europea, 92,7% in Germania (FIGURA 79).

Figura 79

I giovani italiani perdono opportunità educative, soprattutto nell’istruzione di alto livello, incontrano maggiori difficoltà di inserimento nel lavoro, dopo l’inserimento hanno minori chances di crescita professionale. I Neet, giovani che non studiano, non lavorano né sono inseriti in un percorso di ricerca del lavoro, sono in Italia il 22,2%: il doppio della media UE e il triplo della Germania (FIGURA 80). È evidente la necessità di sostenere il sistema educativo, ma non si tratta solo di questo: occorre aiutare le famiglie contrastando il fenomeno dell’abbandono scolastico, indirizzando i figli alle scelte scolastiche e professionali più opportune, premiando il merito e i percorsi virtuosi, riqualificando i giovani esclusi dal sistema produttivo. Il welfare aziendale, grazie alla vicinanza delle imprese alle famiglie, può dare alle famiglie un contributo determinate. Certamente deve essere incoraggiato a farlo, perché le iniziative in quest’area sono ancora molto limitate, ma soprattutto dovrebbe ricevere un indirizzo ed un supporto sistematico dalle istituzioni educative, rafforzando la cooperazione tra le imprese, la scuola e l’università.

Figura 80

Per leggere il Rapporto 2020 di Welfare Index clicca qui.

Estratto del Rapporto 2020 | Conciliazione vita e lavoro

 

Nel 2020 il 63,3% delle aziende hanno attuato almeno un’iniziativa nell’area della conciliazione tra la vita personale e il lavoro, con azioni che spaziano da misure organizzative (come flessibilità oraria, permessi e lavoro a distanza) a sostegni alla genitorialità (integrazione dei congedi, convenzioni con servizi per l’infanzia) a facilitazioni per il lavoro (FIGURA 64).

Figura 64

Negli anni il tasso di iniziativa in quest’area ha visto una costante crescita. Nel 2016 era inferiore al 40%, nel 2019 aveva raggiunto il 59,2% e nell’ultimo anno il 63,3%. Il 9,1% delle imprese hanno lanciato nuove iniziative o potenziato quelle esistenti, e il 45% considerano quest’area come prioritaria nelle prospettive di sviluppo a medio termine del welfare aziendale.

Le misure in questo ambito possono essere raggruppate in quattro categorie:
• flessibilità nell’organizzazione del lavoro;
• misure di sostegno alla genitorialità;
• supporti di facilitazione al lavoro;
• altre misure a sostegno dei lavoratori e delle famiglie.

Le misure di flessibilità organizzativa sono le più diffuse (FIGURA 65). Attualmente sono attuate dal 43,3% delle PMI, con una crescita molto sostenuta nei cinque anni: nel 2016 il tasso di iniziativa era del 16%. L’iniziativa più comune, attuata dal 39,1% delle imprese, è la flessibilità degli orari per venire incontro alle esigenze familiari. Si sono diffusi anche il telelavoro, praticato sistematicamente dal 5,5% delle imprese, e lo smart working, che oltre alla possibilità di lavorare a distanza comporta flessibilità per il lavoratore, il cui utilizzo ha raggiunto quota 10,7%. Infine una piccola quota di aziende (0,9%) ha messo a disposizione dei dipendenti servizi salvatempo che vanno dall’assistente aziendale per le faccende personali al disbrigo di pratiche burocratiche e pagamento di bollette a servizi di lavanderia e stireria.

Figura 65

Il secondo ambito riguarda le misure a supporto della genitorialità, attuate nel 2020 dal 23,1% delle PMI, più che triplicate dal 2016 (FIGURA 66). Le iniziative più diffuse, con percentuali molto simili (16,5%), sono l’assegnazione ai genitori di permessi retribuiti aggiuntivi rispetto a quelli garantiti dal contratto e l’integrazione del congedo di maternità. La loro crescita è consistente: il tasso di iniziativa nel 2016 era rispettivamente del 4,2% e del 2,9%.

Figura 65

Restano tuttora poco diffusi altri servizi di supporto alla famiglia come le convenzioni con asili nido o la presenza di asili aziendali (0,4%), le scuole materne, i centri gioco o i doposcuola (0,3%), i sostegni per le babysitter (0,4%). Le aziende offrono ai dipendenti supporti di facilitazione al lavoro con servizi e sostegni economici per i trasporti e i pasti (FIGURA 67).

Figura 67

Le aziende che attivano misure in quest’area sono il 32%, stabili rispetto al 2019. L’iniziativa più diffusa è l’erogazione di buoni pasto aggiuntivi rispetto a quanto previsto dal CCNL, con un tasso di iniziativa del 15%. Si aggiungono le convenzioni con ristoranti e mense del territorio (9%) e le mense interne, presenti nell’8,9% di aziende. Si diffondono l’erogazione di buoni benzina, offerti dall’8,7% delle imprese, e il rimborso di abbonamenti ai mezzi pubblici, da parte del 6,3% (erano l’1,5% nel 2016). Restano poco diffusi i servizi di trasporto realizzati dalla stessa azienda o da più aziende congiuntamente (1,2%) e le convenzioni con servizi di trasporto locale (0,6%).

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Estratto del Rapporto 2020 | Salute e assistenza

Più della metà delle imprese, 52,1%, hanno attivato nel 2020 almeno un’iniziativa nelle aree della sanità integrativa e dell’assistenza. La percentuale è in crescita di oltre 6 punti rispetto al 2019, quando il 45,7% delle aziende offrivano questi servizi, e in netto aumento rispetto al 2016, prima edizione di questa indagine (32,1%). Nell’ultimo anno il 7,8% delle PMI hanno ampliato gli interventi lanciando nuove iniziative e potenziando quelle esistenti. Inoltre è cresciuta considerevolmente la quota di imprese che considerano la salute come un’area prioritaria da sviluppare in futuro nel proprio sistema di welfare: sono 43% nel 2020, erano il 31,5% nella precedente edizione (FIGURA 59).

Figura 59

Le iniziative attivate in quest’ambito possono essere così raggruppate:
sanità complementare;
servizi diretti di prevenzione e di cura;
assistenza ai familiari anziani, ai non autosufficienti e ai bambini.

L’area della sanità complementare è quella che raccoglie tra le imprese il tasso di partecipazione maggiore. Il 42,2% delle PMI hanno attivato almeno una iniziativa di questo settore, contro il 38,6% dell’anno precedente. L’aumento nei cinque anni è importante: nel 2016 il tasso di iniziativa era del 29,2% (FIGURA 60). L’iniziativa principale riguarda i fondi collettivi di categoria istituiti dai CCNL. Vi aderiscono il 26,3% delle imprese e si confermano strumenti fondamentali per garantire coperture integrative a una vasta platea di lavoratori. Oltre ad essi, è rilevante la quota di aziende che hanno sottoscritto polizze sanitarie integrative: 11%, il doppio del 2016. Continua inoltre la diffusione dei fondi aziendali di secondo livello, istituiti dal 5% delle piccole-medie imprese, e dei fondi aperti, ai quali hanno aderito il 2,7% delle imprese.

Figura 60

I servizi di prevenzione e cura attivati dalle aziende per i propri dipendenti sono un’esperienza innovativa, tuttora poco diffusa, ma nell’ultimo anno hanno vissuto una crescita rilevante. Nel 2020, infatti, il tasso di iniziativa in quest’area è quasi raddoppiato rispetto al 2019, passando dall’11,7% al 21,5%. Solo quattro anni fa le aziende attive in questi servizi erano appena il 3,6% (FIGURA 61).

Figura 61

I servizi offerti sono principalmente la prevenzione e il check-up (8,4% delle imprese): screening, esami diagnostici, controlli generali dello stato di salute e iniziative di diagnosi precoce (come pap test, mammografia, controlli alla prostata). Il 2,5% delle imprese hanno implementato in autonomia programmi di prevenzione o hanno aderito a campagne più strutturate con l’obiettivo di promuovere uno stile di vita sano, una corretta alimentazione, l’attività fisica, o di contrastare abitudini dannose come alcolismo e tabagismo. La quota di imprese che si sono dotate di uno sportello medico interno ha raggiunto il 6,5%, era del 3,9% nel 2019. In un anno sono quasi raddoppiate anche le convenzioni con gli studi dentistici, passando nell’ultimo anno dal 3,4% al 6,3%. Infine è cresciuto il numero di PMI che hanno attivato servizi socio-sanitari specialistici come l’assistenza psicologica e servizi di riabilitazione.

Infine, le aziende attuano iniziative di assistenza agli anziani, familiari non autosufficienti e bambini. È un’area ad un livello di sviluppo iniziale, con un tasso di iniziativa del 2,9% (FIGURA 62). L’1,5% delle imprese offrono assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, principalmente in forma di rimborsi, mentre il 2,9% prevedono sostegni per le cure specialistiche per i figli e servizi pediatrici.

Figura 62

Ricordiamo che il carico di assistenza agli anziani bisognosi di cura ricade in maniera molto rilevante sulle famiglie. Attualmente i non autosufficienti in Italia sono 3,7 milioni, e tra questi gli anziani sono 2,9 milioni. L’invecchiamento della popolazione e la carenza di un sistema qualificato di assistenza domiciliare fanno di questo tema una priorità per il Paese e per il welfare aziendale.

Figura 63

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L’impatto del Welfare sul business delle aziende – Analisi Cerved

In questa sezione vengono presentati i principali risultati di una analisi, svolta dalla divisione Marketing Solutions di Cerved, con l’obiettivo di misurare il rapporto tra welfare aziendale e risultati di business delle imprese. Quello che segue vuole essere un primo contributo, destinato ad essere approfondito in futuro, utile a porre le basi per una riflessione sistematica sull’apporto che il welfare aziendale offre ai risultati economici e finanziari delle imprese.

A titolo di premessa ci pare opportuno sottolineare due considerazioni. Anzitutto la correlazione non va letta in una logica di rapporto causaeffetto: il welfare aziendale non “produce” direttamente un impatto di business (ad esempio un incremento di fatturato o un miglioramento della redditività), ma concorre – insieme a numerosi altri fattori della gestione aziendale – al suo conseguimento. In secondo luogo essa non si risolve nell’immediato ed anzi può esplicarsi compiutamente soltanto in un orizzonte di medio e lungo periodo.

Il punto di partenza dell’analisi sono le 4.024 PMI che hanno partecipato all’edizione 2020 di Welfare Index PMI. Si è proceduto ad integrare le risultanze delle loro interviste con le informazioni di bilancio dei sistemi informativi di Cerved, aggiornati all’esercizio 2018 (gli ultimi disponibili al momento dell’analisi, nel luglio 2020). Tale operazione ha avuto successo nel 75% circa dei casi e ha portato alla creazione di un archivio di 3.016 imprese.

Dopo una prima fase di analisi sperimentale, che ha preso in considerazione numerosi indicatori di bilancio e di welfare aziendale, abbiamo concentrato le elaborazioni su un set ristretto di variabili maggiormente esplicative.

  • Indicatori di business: fatturato per addetto, MOL (Margine Operativo Lordo) per addetto, utile/perdita per addetto, cash-flow per addetto, ROI (Return on Investment), rapporto di indebitamento, propensione all’export, numero di addetti. L’utilizzo, per alcuni di questi indicatori, dei valori “per addetto” riflette l’esigenza di normalizzare i dati relativi a imprese di dimensione anche molto diversa (si ricorda che Welfare Index PMI coinvolge imprese con un numero di addetti compreso tra 6 a 1.000).
  • Indicatori di welfare aziendale: abbiamo scelto di utilizzare l’indice Welfare Index PMI, calcolato per ciascuna impresa – su una scala da 0 a 100 – con un algoritmo che considera oltre cento variabili rilevate tramite il questionario; inoltre si è considerata la classe di rating (su 5 livelli), che è l’espressione sintetica dello stesso indice. Per un approfondimento sulla metodologia di calcolo e attribuzione di indice e classe di rating si rimanda alla sezione dedicata.

La FIGURA 49 mostra un classico indice di produttività, il fatturato medio per addetto, ripartito per livelli di welfare aziendale espressi come classi di rating. L’analisi mostra come la produttività cresca linearmente al livello di welfare. Le imprese della classe di welfare aziendale più elevata (Welfare Champion) registrano un fatturato medio per addetto di 473 mila euro nel 2018, mentre la seconda classe (Welfare Leader) di 332 mila euro. Queste prime due classi, che raggruppano le PMI più impegnate e più attive nel welfare aziendale, nel loro complesso hanno un fatturato medio per addetto pari a 368 mila euro, superiore di circa 100 mila euro a quello complessivo delle fasce di rating più basse (Welfare Promoter, Supporter e Accredited), che si ferma a 261 mila euro. Le prime due classi, Welfare Champion e Welfare Leader, hanno inoltre registrato nel periodo 2016-2018 una crescita del fatturato per addetto del 6%, molto superiore a quella delle tre classi inferiori prese nel loro complesso. La variazione più positiva è stata registrata dai Welfare Champion, il cui fatturato per addetto è aumentato mediamente del 10,7%.

Un ulteriore elemento che differenzia le performance economiche delle imprese è la propensione agli scambi commerciali con l’estero. Circa un terzo delle imprese Welfare Champion e delle imprese Welfare Leader, rispettivamente il 31,4% e il 30,2%, hanno relazioni commerciali di export; tale attività decresce in maniera lineare al decrescere delle classi di rating: 24,4% tra le imprese Welfare Promoter, 19,1% tra le Welfare Supporter, 12,9% tra le Welfare Accredited.

FIGURA 49

 

Le FIGURE 50 e 51 illustrano, utilizzando le medesime classificazioni, l’andamento del MOL per addetto e del risultato netto (utile o perdita) per addetto. Le imprese Welfare Champion e Welfare Leader ottengono risultati significativamente superiori alle imprese delle tre classi inferiori, sia in termini assoluti sia in termini dinamici. Il MOL medio per addetto si attesta nel 2018 a 24 mila euro per le imprese Welfare Champion e Welfare Leader, con un valore di 36,6 mila euro per le prime; l’incremento tra il 2016 e il 2018 è del 4,4%. Le tre classi inferiori si fermano complessivamente poco al di sotto dei 14 mila euro (circa la metà del valore delle prime due classi) con un andamento di trend negativo (-2,2%). Il risultato netto per addetto delle Welfare Champion e Welfare Leader è di 29,4 mila euro, quasi cinque volte superiore a quello delle tre classi di rating inferiori (6,3 mila euro). L’andamento 2016-2018 è fortemente divergente: +55,1% per le prime, +4,2% per le seconde.

FIGURA 50

 

FIGURA 51

 

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